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Pubblicato da il 9 Ott 2014 in Chiesa | 0 Commenti

2014: quello che manca (G. Dossetti jr)

 

Verranno organizzate mostre e viaggi sui luoghi della guerra. Abbonderanno le ricostruzioni, magari anche in costume. Le scuole andranno in pellegrinaggio a Redipuglia. Rappresentanti delle istituzioni porteranno corone di fiori in omaggio ai “caduti per la patria”. Verranno celebrate Messe di suffragio per i morti, compiendo un doveroso atto di pietà: penso però con un certo allarme alle omelie che verranno tenute in tali occasioni. Si moltiplicheranno i tentativi, credo, per dimostrare la continuità di un percorso nazionale, dal Risorgimento alla Resistenza. Si diranno molte parole sul carattere del soldato italiano, sulla sua disponibilità al sacrificio e sulla sua umanità. Certamente sarà importante che gli umili protagonisti della grande tragedia possano avere voce.

La domanda che mi faccio e che vorrei trasmettere ai lettori riguarda il senso di questa guerra. Non intendo le ragioni storiche, la concatenazione degli eventi, lo sfondo culturale che ha alimentato l’idea della guerra come grande medicina di un mondo malato. Tutto questo, e altro, è noto, ed è stato studiato. Quello che manca è una riflessione morale e, aggiungo, religiosa, su questo conflitto, vera svolta nella storia del mondo e della Chiesa.

Ciò che è grave, è che non si abbia avuto finora il coraggio di fare i conti con questa domanda: come è stato possibile che le nazioni di un’Europa cristiana si scannassero tra loro, invocando lo stesso Dio? E come è stato possibile che, di fronte alle immani sofferenze causate dalla guerra, non ci sia stato lo sforzo per identificare i germi della violenza, impedendo così un secondo e ancora più cruento conflitto?E come è possibile che ancor oggi ci si ponga la domanda se quella guerra era “giusta”, alla luce della stessa dottrina vigente a quei tempi?

Si tratta di un dovere morale non eludibile. Come cercherò di dimostrare, la capacità di resistenza ai meccanismi che portano alle guerre da parte della stessa autorità ecclesiale, è molto scarsa. La delega ai governi rimane il criterio prevalente per qualificare una guerra come lecita. Rimane una sorprendente e imbarazzante mancanza di consapevolezza di che cosa sia stata allora e che cosa sia adesso una guerra. Questo contribuisce a dare ai discorsi ecclesiastici il tono dell’astrattezza e della retorica. Da questo punto di vista, sarebbe opportuno un pellegrinaggio dei nostri vescovi sui luoghi del conflitto, la visita ai musei della guerra e la lettura di un paio di libri che descrivano quello che è veramente successo.

In più assistiamo a uno sviluppo paradossale della riflessione dopo il Concilio Vaticano II. Allora, venne recepita dai Padri Conciliari l’affermazione di Giovanni XXIII che, nell’era atomica, la guerra era divenuta qualcosa di alienumn a ratione, di irragionevole e quindi vennero condannati tutti gli atti di “guerra totale”. Ma, dal 1989 in poi, il timore della guerra atomica è scomparso, in pratica, dall’orizzonte dell’umanità, se non per giustificare qualche problematico atto di “guerra preventiva”, la guerra è tornata ad essere “guerra convenzionale”, secondo il comune sentire. Ma anche qui non ci si sforza di informarsi su cosa significhi oggi “convenzionale”. La potenza distruttiva delle armi non atomiche è mostruosamente aumentata. Ma, al di là di questo, oggi ogni guerra è necessariamente “guerra totale”, anche se circoscritta. Il suo carattere totalitario è dato per esempio dall’assenza del confine tra militari e civili, dalla criminalizzazione dell’avversario, mediante le categorie di “scontro di civiltà”, “stati canaglia”, “terrorismo”, e anche, almeno da una certa parte, combattimento tra i credenti in Dio e gli empi. La guerra, oggi, è sempre necessariamente connotata in senso morale e talvolta religioso. Sorprende quindi che non esista una riflessione morale e religiosa adeguata, da parte di chi ha un compito specifico in merito. Documenti e dichiarazioni vengono prodotti in quantità su ogni argomento, tranne che sulla guerra, quando non esiste argomento che tocchi in modo più profondo la sensibilità dell’uomo d’oggi e ne provochi le domande più inquietanti.

Si rischia di dare un tono ambiguo alla rivendicazione delle “radici cristiane dell’Europa”. Ci si può chiedere dove fossero, allora, queste radici. Certo, è comune convinzione che l’unità europea sia stata voluta da uomini, tra i quali i cristiani ebbero un ruolo eminente, che desideravano impedire, con un grande atto di riconciliazione, il ripetersi di tali tragedie. Questo è vero. L’Europa non ha conosciuto nella sua storia un periodo altrettanto lungo di pace (se escludiamo le guerre balcaniche). Il rischio, però, è che ora la pace venga intesa come un bene da difendere: come se si dicesse, “proprio perché ci è costata tanto, abbiamo il diritto di difenderla, magari anche con le armi, dalla minaccia di coloro che l’insidiano”. Si può ripetere, su scala mondiale, quello che è successo in Europa nel 1914, quando ognuno giustificò la guerra con la difesa dei propri valori e degli irrinunciabili interessi.

Giuseppe Dossetti jr, 2014. CENTO ANNI NON SONO BASTATI, Edizioni San Lorenzo, 2012, p. 5-9

 

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