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Pubblicato da il 25 Mag 2015 in Frammenti | 0 Commenti

24 Maggio 1915 – 24 Maggio 2015 (V. Giacomin)

24 Maggio 1915 – 24 Maggio 2015 (V. Giacomin)

Il 24 maggio 1915 alle 4 del mattino l’Italia entra in guerra contro l’Austria sparando da Forte Verena due colpi di cannone verso l’altopiano di Lavarone allora appartenente all’Austria. Contemporaneamente i fanti passano il Piave.

Torno sull’argomento consapevole che ormai su questa guerra è stato scritto tutto il possibile.

Sono stati descritti luoghi, situazioni, battaglie; sono stati recuperati reperti bellici e non, fatto l’elenco dei morti (1.240.000 italiani, 651.000 soldati e 589.000 civili, oltre a centinaia di migliaia di feriti e mutilati) sono stati costruiti dal fascismo i sacrari ai caduti, è stata alimentata senza sosta per un secolo intero la retorica che vede nella guerra il cemento del nostro Paese.

Tuttavia, come scritto da Ceronetti già un anno fa, questa guerra in Europa non è ancora conclusa e le cause di questa non conclusione sono note e ben indagate (la falsità dell’aggressione, il patriottismo, l’imperialismo, il profitto, la politica coloniale feroce che mirava alla spartizione del mondo, le fobie sugli stranieri).

Nonostante sia passato un secolo, questa guerra continua ad interrogarci, ad irrompere nelle nostre vite, nelle nostre azioni quotidiane, nel nostro modo di pensare e agire.

Tutti i maggiori quotidiani in questi giorni dedicano spazio a questo anniversario, le istituzioni la ricordano in vario modo.

Uno degli aspetti che ho colto, perché mi pare ancora presente nella nostra cultura guerrafondaia, è quello che il prof. Isnenghi chiama “conversione” alla guerra dell’Italia.

Nel suo libro – Convertirsi alla guerra – spiega come l’Italia in circa 10 mesi passi dal neutralismo di Giolitti (costretto a dimettersi nel marzo del 1914) all’interventismo.

L’Italia entrò in guerra non tanto perché alcuni intellettuali come D’Annunzio, o politici come Mussolini, la chiamavano a gran voce, quanto piuttosto perché nel paese era in atto una vera conversione alla guerra costruita sulle fobie che, allora come ora, venivano costruite e date in pasto alle masse, fobie che mascheravano i veri interessi della parte economico-finanziaria del Paese e degli appetiti dei Savoia, il tutto in salsa irredentista. Fare la guerra era l’imperativo. Il resto non aveva valore.

Non esisteva a quel tempo, come illustra il prof. Rusconi – in 1914: Attacco a Occidente – una coscienza di tipo pacifista e lo stesso fronte neutralista non era in grado di imporre nemmeno una forza parlamentare di contrasto. Liberldemocratici, socialisti e cattolici non erano in grado, seppur maggioranza nel Paese, di fare argine alla propaganda interventista.

Solo le masse contadine erano contro la guerra, ma genericamente, nel senso che non erano interessate a ciò che accadeva oltre il confine. Tuttavia, anche per queste masse, il mito di riguadagnare Trento e Trieste rimaneva vivo.

In solitudine papa Benedetto XV il 1° agosto 1917 ebbe il coraggio di parlare di “inutile strage” aprendo all’idea di disarmo come fonte di vantaggi per i popoli.

Sappiamo come il fascismo abbia alimentato la retorica della grande guerra, se ne sia appropriato della memoria, trasformando questa immane tragedia in “religione della Patria” attraverso il culto dei caduti, la costruzione dei sacrari, la cancellazione (iniziata prima della marcia su Roma) di quei monumenti a ricordo dei caduti che fornivano una interpretazione diversa (ad esempio antimilitarista o pacifista) della guerra e della morte – vedi http://www.inutilestrage.it/il-fascismo-si-appropria-della-guerra-l-kocci/ .

Se da un lato quindi dopo la seconda guerra mondiale si torna a parlare di “inutile strage”, dall’altro la retorica fascista sulla guerra permane nella nostra memoria collettiva e si trasforma in una “sacralizzazione della morte in guerra”.

Attraverso i sacrari l’enormità della tragedia viene socializzata tanto che nessuno è più in grado di affermare che tutti quei morti siano stati davvero inutili.

Questo paradosso tremendo lo viviamo ancora oggi in tutte le commemorazioni.

Guardiamo ad esempio alla commemorazione messa in campo dall’Amministrazione comunale e dal locale gruppo alpini in questi giorni.

Le parole (ammassamento, alzabandiera) ancora di gergo militare, i gesti, la mostra dei reperti, l’uso smodato del tricolore, sono ancora intrisi di questa cultura della guerra nata nei germi interventisti e sviluppatasi e consolidatasi nel periodo fascista.

La nostra quotidianità si dimostra incapace di superare questa retorica, questa falsità sulla quale si è basata la prima guerra mondiale, ma anche tutte le guerre di oggi.

Non siamo capaci di comprendere che siamo stati ingannati e che con questa retorica continuiamo ad esserlo. Anzi, la stragrande maggioranza di noi regala il proprio tempo nell’alimentare questa falsa propaganda che a tutto è interessata, meno che alla ricerca della giustizia, dell’uguaglianza, e della pace.

Stamattina ero in un paese della pedemontana e leggevo sulle bacheche: “Per ricordare i militari italiani che non sono più tornati dalla Guerra”.

E le donne che sono rimaste a casa? E i bambini e i vecchi? E dietro alle donne e ai bambini le immani sofferenze e atrocità, chi le ricorda?

È di questi giorni la notizia che la Repubblica italiana chiederà perdono a quei circa 1.000 soldati uccisi dai nostri plotoni di esecuzione senza un perché.

Si sa, i metodi di Cadorna erano feroci e in una sua circolare ai vari comandi estendeva agli ufficiali il diritto di vita e di morte sui soldati. 750 soldati furono fucilati al termine di un processo, 350 passati per decimazione o uccisi direttamente dai superiori, un numero sconosciuto ammazzato dal “fuoco amico” per impedire che ripiegassero dalle posizioni.

Cento anni abbiamo impiegato (ma non è detto visto che la legge deve passare al Senato) per restituire l’onore a questi uomini che cercavano di opporsi alla guerra, uccisi per “la necessità che un salutare esempio neutralizzi i frutti della propaganda demoralizzatrice”.

Durante la prima guerra, nell’interesse della disciplina militare “davanti ai tribunali militari comparvero 323.527 imputati di cui 262.481 in divisa, 61.927 civili e 1.119 prigionieri di guerra. Le condanne interessarono il 60 per cento dei processi. 4.028 dibattimenti si conclusero con la pena capitale (2.967 con gli imputati contumaci). Le sentenze di morte eseguite furono 750”.

E’ questa un’altra tragica pagina davanti alla quale giriamo la testa. La retorica, specie se inserita in un gruppo, ci fa sentire gonfi di onere, il resto non ci interessa.

Ho riflettuto sull’invito del Presidente del Consiglio Renzi relativo all’esporre la bandiera sugli edifici pubblici per ricordare l’entrata in guerra dell’Italia.

Mi pare che questo gesto si inserisca in questo filone di propaganda nazional-fascista che ho cercato di descrivere sopra.

Bene ha fatto il governatore della Provincia autonoma di Bolzano a rifiutarsi di mettere in atto l’invito e a considerare “fuori luogo l’invito del premier ad esporre la bandiera” spiegando che ricordare la fine di una guerra può essere un evento positivo, ma l’inizio di una guerra non lo è mai.

Mi pare un ragionamento di assoluto buon senso, ma evidentemente per il nostro premier Renzi che ci vuole e ci pensa tutti instupiditi ed ebeti, questo non lo sia.

Pare che i fatti gli diano ragione e anche questo è uno dei motivi per i quali la prima guerra mondiale non è ancora finita.

Non è finita nelle nostre teste, nei nostri interessi economici, nel nostro sentirsi bene nella retorica e nell’appartenenza, nel nostro adagiarsi all’inganno e nella nostra incapacità di vedere l’inganno, nella nostra arrendevolezza alla quotidianità, nel non appassionarsi allo spirito del cambiamento interiore.

Un amico scriveva ieri: “… per questo chi è veramente mosso dallo Spirito non è mai inquadrabile fino in fondo (e, tanto meno, manipolabile o usabile). Non fa mai massa. Non si intruppa. È spesso una voce ‘fuori dal coro’ e viene, talora accusato di ‘individualismo’”.

Che cosa resta di questa uscita del premier Renzi?

I partiti di opposizione di lingua tedesca Sudtiroler Freiheit e Burger Union dicono: “l’Italia si conferma un paese fascista e nazionalista”, gli Schutzen aggiungono: “l’Italia festeggia la morte di mezzo milione di soldati italiani”.

Possiamo dire il contrario?

Riflettiamo su questa tragedia che continua ad accompagnare le nostre vite e cerchiamo, in questo dramma, di trovare un percorso di pace che ci rinnovi e che veda il tramonto dell’ “ultimo uomo” descritto da Nietzsche, colui che ha una grande “capacità di adattamento”.

Vittorio Giacomin

Monticello Conte Otto (VI), lì 24 maggio 2015

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MONTE VERENA – Agosto 2013: Campo Internazionale dei Giovani di PAX CHRISTI

 

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