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Pubblicato da il 1 Apr 2020 in Letture | 0 Commenti

Alpini: “quello sbaglio l’abbiamo fatto noi” (V. Scapin)

Firmino si era fatto un bastone bianco come un dente de can, aveva messo a tracolla la borraccia vestita di panno verde di suo zio alpino morto sull’Ortigara, e con il piglio del comandante dava ordini.

Due uomini comandati a ogni marmitta, uno alla càneva, due alla polenta, due alle lugàneghe; gli altri liberi, ma a disposizione e pronti a prendere servizio.

– Due sentinelle che girano intorno al campo attente a vacche e macchine foreste, mandare avanti i civili che si fermano a fare i curiosi dicendo che le montagne sono lunghe e larghe. Voglio sentinelle anche al  magazzino viveri  e alla càneva. Attenti ai fuochi e niente fiamme alte. La truppa che non è di corvée giochi con i putéli ma lasci stare le mamme dei putéli. Appartarsi solo con le legittime.

Lo svago fu un pasto continuato da mezzogiorno fino a sera. Tutti, uomini fémene e putéli passavano da pignata a pignata, da graticola a graticola, con piatti pieni di pezzi di carne fumante, di lugàneghe abbrustolite e bevevano tanti bicchieri di vino che in montagna ti dà solo forza e non ti ubriaca mai.  Quando i putéli giocavano e non avevano più l’occhio alla mamma ma al balòn e ad altri giochi, i pupà brincavano le mame per le còtole e le braccia e scappavano in alto, sotto i pini folti e si butavano sul muschio morbido a fare l’amore.

E quando i putéli senza la mama criavano, c’era sempre una mama già tornata dal bosco che, come una ciòca, radunava i putéli in pianto e li consolava.

– Vien qua putélo, che la tua mama torna presto. È andata col pupà nel bosco a trovarti un altro fradeléto.

In quei boschi dove i loro nonni, pari e zii avevano preso le fucilate e le bombe dagli austriaci, i calci nel culo dai superiori e avevano patito la fame il freddo i pèoci la scabbia in trincea, quel gioco agli alpini guaudiosi, pieni di robe buone da mangiare, senza il terrore di improvvisi attacchi alla baionetta o di bombardamenti, era un po’ un atto di giustizia, anche se questa arrivava con tanto ritardo e cadeva sui figli e nipoti.

Loro potevano a buon diritto occupare la grotta per il vino, giocare lungo gli scavi delle trincee inerbite, perché a causa di quei lavori guerreschi erano stati trascurati.

– Bravi tusi, tornate sempre su questi monti, ma con le spose, i putéli, le pignate piene di roba da mangiare e i fiaschi pieni di vino; mai con le bombe, i fucili, i signori tenenti. Quello sbaglio l’abbiamo fatto noi.

 

Virgilio Scapin, I MANGIATORI DI CIVETTE, Neri Pozza, 1996 (1976), p. 58-59

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