Arpalice Cuman Pertile: una letterata pacifista cristiana (G. Giolo)
Un esempio del furoreggiare dell’interventismo si ebbe a anche a Vicenza, come si legge nella biografia della marosticense Arpalice Cuman Pertile che, in un comizio a Vicenza, intervenne in prima persona, dicendo di sentire “il dovere di prendere la parola in difesa della pace…serbata alla patria nostra pur nella rivendicazione de’ suoi sacri diritti sulle terre irredente”. Nella sala gremita di gente, rievoca Omero “l’antico poeta della Grecia erioca”, che cantò il valore di Achille e, nel contempo, la nobiltà d’animo di Ettore, che dà la vita per la sua patria, come canta il Foscolo:
e tu onore di canti Ettore avrai
ove fia santo e lacrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà sulle sciagure umane.
Come Omero, anche Virgilio e i grandi poeti “ispirarono i loro canti ad un elevato e sano ideale di pace e umanità, affidando alla donna e agli educatori il compito di preservare i giovani e i popoli dalle fallaci illusioni della guerra”.
Non fu certo un discorso politico, anche se come tale fu strumentalizzato, prima dagli interventisti e più tardi dai fascisti, che erano poi le stesse persone, cui quella donna libera e franca, col suo cristianesimo impegnato nel sociale, dava noia, perché quando parlava era ascoltata e capita.
Quel discorso era una allocuzione storico-letteraria con esempi da Omero e Dante, da Petrarca e Manzoni, un elogio dell’umanitarismo e del lavoro pacifico, una mozione pedagogica contro le lusinghe e le illusioni della guerra, un accorato appello di donna contro i dolori e le stragi che già dilaniavano le genti in Europa.
La citazione finale tratta da la Madre del Carducci era la chiusa di una lezione, la sua lezione fondamentale sull’amore, il suo sole dell’avvenire:
Quando il lavoro sarà lieto,
quando sicuro sarà l’amore
quando una forte plebe di liberi
dirà guardando nel sole: illumina
non ozi e guerre ai tiranni
ma la giustizia pia del lavoro.
Fu accusata dagli interventisti di essere una antitaliana e non era vero: con lealtà proponeva – e lo ripeterà sempre – il suo messaggio di pace senza implicazioni politiche e tanto meno patriottiche.
Il discorso diventò il pretesto del suo allontanamento e del suo soggiorno obbligatorio e vigilato, insieme al caro consorte, dapprima a Firenze, poi a Novara ed infine a Genova.
Gianni Giolo, Echi di memoria, in Maria Antonia Canton, Cent’anni di Memoria, attiliofraccaroeditore, 2015, p. 13-14
- Vedi anche:
Una pacifista vicentina: Arpalice Cuman Pertile (R. Menegato, M. Brocco)