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Pubblicato da il 29 Nov 2014 in Chiesa | 0 Commenti

Benedetto XV, la croce contro “l’inutile strage” (M. Roncalli)

 

(…) vale la pena ricordare il secolo che ci separa dall’elezione di Benedetto XV. Principi che stanno dietro i suoi ripetuti interventi. Come la richiesta, già fatta dal predecessore, di pregare per la cessazione del conflitto (settembre 1914). Come le precise istruzioni fatte giungere in segreto ai singoli ordinari, per evitare ogni iniziativa che potesse interpretarsi come adesione pubblica della Chiesa italiana alla guerra.

Come i messaggi destinati ad esprimere il suo dolore innanzi al «tremendo fantasma della guerra» con i disordini da eliminare «richiamando in vigore i princìpi del cristianesimo» (novembre 1914). Come i provvedimenti da lui presi per bloccare due volte – nel 1915 e 1916 – la diffusione di testi dell’Azione cattolica italiana troppo patriottici, non potendo la Santa Sede auspicare la vittoria di un popolo cattolico su un altro ugualmente cattolico. Insomma, davvero costanti – e in tutto il suo pontificato – furono i tentativi prima per evitare l’estensione della guerra, poi per affrettarne la fine. Scongiurando le potenze belligeranti per trovare modi diversi dai bombardamenti per riaffermare diritti lesi.

Attivando azioni umanitarie, assistenza materiale e spirituale dei prigionieri, scambi e rimpatri. Invocando la cessazione delle deportazioni. Implorando tregue e negoziati. Non a caso quel poco di memoria che oggi viene riservata a Benedetto XV resta legata (pur non esaurendone gli altri impegni: dal rinnovamento della Chiesa all’azione missionaria, alla fine del temporalismo), al giudizio sull’«inutile strage» nella celebre Nota dell’agosto 1917. Resistono insomma i segni della sua lotta contro il militarismo, contro il nazionalismo, mentre altri non desideravano che consacrare soldati italiani al Sacro Cuore.

E, tutto questo, avendo subito capito che la guerra era «un suicidio dell’Europa» (4 marzo 1916), «la più tenebrosa tragedia della follia umana» (4 dicembre 1916). È vero, forse alla base di questi appelli inascoltati, insieme ai «principi cristiani» invocati dal Pontefice, non va dimenticato il bagaglio culturale intransigente con il quale episcopati, clero, cattolici di vari Paesi, si trovarono ad affrontare il conflitto (ancorato al castigo divino per la corruzione della società moderna presuntamente anticristiana).

E non a caso rispetto alla neutralità papale, le Chiese nazionali appoggiarono i governi degli Stati di appartenenza. Tuttavia è proprio con Benedetto XV che si volta pagina, che si incrinano le strutture portanti della teoria della “guerra giusta”. Innanzi a distruzioni che sgretolavano qualsiasi proporzione tra il mezzo (il ricorso alle armi) e il fine (il ristabilimento di un giusto ordine tra gli uomini), era ancora moralmente giustificabile la pratica bellica? Come ha scritto Daniele Menozzi nel suo «Chiesa, pace e guerra nel Novecento» (Il Mulino) «si può dubitare che il Pontefice intendesse portare fino a queste conseguenze la sua dichiarazione dell’inutilità della conflagrazione; ma la questione era stata sollevata». E da quel momento la lezione del Papa al quale gli armeni, riconoscenti, hanno eretto un monumento davanti a Santo Spirito a Istanbul, è stata raccolta dai successori.

Marco Roncalli, Avvenire, 4.9.2014 p. 14

 

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