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Pubblicato da il 23 Set 2016 in Letture | 0 Commenti

Cantare in guerra (C. Pastorino)

 

IL SONATORE AMBULANTE

In questi giorni si sta bene. Due plotoni son venuti a occupare questa posizione tranquilla e ombrosa. In compagnia eravamo in tre ufficiali: si son messe le sorti chi di noi dovesse venire, e la sorte ha favorito me. Eccomi dunque con questi due plotoni. Un cento passi più in là, una batteria da marina ben mascherata dai pini punta i cannoni contro lo Spil. L’ombra è così densa e il luogo così fresco e tanti sono i ciclamini odorosi che vien fatto di pensare al lembo di un parco.

Nella prima mattinata i soldati mi han costrutto una capanna che è un capolavoro. È alta che posso starvi in piedi: di qua e di là son disposti, in belle piazzole, le tende dei sessanta o più uomini. Per un eccesso di precauzione, sui teli delle tende son state buttate delle rame verdi, in modo che il bianco non appaia; egli aeroplani che passano nell’alto non s’avvedono di nulla.

Ho parlato di uomini perché è dell’uso chiamarli così ma potrei dire anche ragazzi, perché i più sono diciannovenni.

Ma Bronzoni, Orlando, Solari, Fenoglio e alcuni altri son sopra i venticinque, e nel mondo avevano già la loro vita.

Una loro vita, del resto, l’han tutti, anche i ragazzi; e in questi giorni di tranquillità essa fiorisce e si espande ed è facile notarne il buono e sentirne la bellezza. Sono i figli del nostro popolo; e tutto il resto d’Italia è qui rappresentato. Ognuno parla della sua casa: è la nota costante, dominante, che trova accenti soavi e teneri; e il ricordo del fratellino o della mamma, o anche dell‘orto o dell’albero e della vigna è sempre presentato in un alone di poesia. Rari son quelli che ci compiacciono d’altro. Persino Solari che era cantore e sonatore ambulante, ha la casa, la sposa e due figli.

Al pomeriggio alcuni di essi scendono ad Anghebeni a procurarsi fiaschi di vino, di marsala, anice e cioccolato. Ora ad Anghebeni c’è la cantina e queste cose si possono trovare. Tornano che è sera e i fiaschi passano da mano a mano e il profumo del vino si confonde con quello dei ciclamini. Bevo anch’io con loro. Son sorte le stelle e tacitamente essi siedono in cerchio intorno alla mia capanna. Discorriamo a lungo e la conversazione si fa vivace.

Solari è il più taciturno. La prima sera sta in disparte, quasi vergognoso. Egli che girava di mercato in mercato, che sonava la fisarmonica ai crocicchi e nelle piazze, che vendeva canzonette e dormiva negli albergucci di villaggio, qui ha vergogna. Solo la terza sera si riesce a cavargli di bocca qualcosa. Ma non sono che notizie imprecise. La sera successiva, sì, parla. E allora sappiamo che il su mestiere gli rendeva non poco. La moglie e i bambini abitano una bella casa che è quasi una villa.Questa casa è all’estremità del paese; e ha un orto di mille metri quadrati. Vi sono alberi da frutta e un pergolato che dà uva buona e abbondante. La moglie è buona e gentile; e ha studiato in un collegio tenuto da suore. Ma nel suo paese nessuno sa che egli è sonatore ambulante. Credono che egli abbia un impiego a Torino. Egli sta fuori venticinque giorni di ogni mese: il resto lo passa in famiglia e coltiva il suo orto. Il primo dei bambini ha già sei ani e il secondo ne ha tre. La moglie lo segue nel suo lavoro dell’orto e vivono in pace. Egli parte col primo treno, al lunedì, per Torino. Ma non vi arriva, perché scende a Santena dove, presso un amico fidato, depone i sui abiti e indossa una marsina e un’alta tuba; e si trucca in modo che non lo riconoscerebbe neppure sua madre. Prende il suo armonioso strumento e parte. Nelle fiere gli fanno ampi cerchi intorno. La sua voce, pastosa e calda, ha un timbro e una dolcezza indicibili. Riesce meglio nelle canzoni dove i sentimenti teneri e la melanconia siano prevalenti; e le fanciulle non posson trattenere le lacrime.

Canta qualche cosa anche per noi” lo pregano ora i compagni.

La Notte è ormai alta e sullo Spil le stelle dell’Orsa ha già fatto un largo giro. Fra le batterie di Sant’Anna e quelle di Col Santo c’è duello; i proiettili delle une e delle altre passano in alto sopra di noi; ma qui non ne cadrà alcuno. Nei momenti di calma udiamo i solitari ta-pun dei cecchini; ma sono lontani e non ci possono nuocere. Il profumo della resina e dei ciclamini è intenso. L’aria è leggermente mossa e gli aghi di pino sibilano. Nessuno dei soldati è entrato sotto le proprie tende: essi, volti verso Solari, attendono ansiosamente ch’egli canti. L’accenno alle fiere e ai mercati, le lunghe camminate attraverso la pianura, il ricordo delle feste e delle piazze piene di gente, ha destato in tutti un non so che, che renderà quasi impossibile il prender sonno.

Solari incomincia. La prima è una canzone di guerra. È la mesta canzone del bersagliere che “l’han visto là sulla frontiera”; e la canta con tale tremito d’anima che noi, senza avvedercene, ci troviamo ben presto nelle condizioni delle fanciulle delle fiere. Poi passa ad altre. Il suo repertorio non è vasto, ma buono e scelto. Appare evidente che egli si è tenuto a un genere, per quanto popolare, gentile de elevato. Anche questo gli accresce la stima.

I soldati della batteria escono dai loro rifugi e, adagio adagio, in punta di piedi per non disturbare, vengono anch’essi intorno a noi.

Il canto dura a lungo. Cessa soltanto, ma per brevi intervalli, quando le granate passando fan maggior strepito; e la ripersa è sempre più accorata e penetrante. S’arriva a un punto che la commozione è generale. Due dei più giovani, due di quelli che pochi mesi addietro erano ancora coccolati dalla mamma, rompono in veri singhiozzi. Nessuno osa dire di essi, nessuno dice loro: “Non vi vergognate?”. Solo Bronzoni si alza e come un buon papà si mette fra loro e senza parlare posa sulla spalla dell’uno e dell’altro le sue mani.

La sera seguente Solari riprende a cantare. Ciò per altre quattro sere: per tutto il tempo che si rimane lì. Ma durante il giorno egli si trattiene sovente con me; e parlando rivela lati del suo cuore bellissimi.

In quei giorni, come avviene alla fine di ogni mese, occorre pensare alla promozione dei graduati e alle proposte per nuove nomine. Io penso a Solari e nella lista lo scrivo primo.

Quando alcuni giorni dopo gli giunge dal comando di reggimento la comunicazione di nomina a caporale, egli tutto confuso mi chiede: “Ma come ha potuto propormi dopo quello che le ho contato di me? Non si dànno i galloni a un suonatore di fiera”.

Io chiamo Jandolo Alfredo, fiorentino di San Frediano, che conosce l’ago e sa cucire; e cinque minuti dopo i piccoli galloni neri son già fissati al braccio del cantore e sonatore ambulante Solari che nelle fiere faceva piangere le fanciulle e in guerra, nelle notti serene, i compagni d’armi.

Carlo Pastorino, La prova del fuoco, Egon, 2010 (or. 1926), p. 51-53

 

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