“Cimiteri di guerra” (G. Caramore)
In un bosco scosceso ai margini di Brunico, oggi piacevole cittadina turistica della Val Pusteria, un piccolo cimitero di guerra colpisce per l’atmosfera quieta e rispettosa che emana, per la struttura originale perfettamente inserita nella natura del luogo che lo ospita. Le tombe, segnalate da croci di legno, o di ferro battuto, o in pietra, ornate con rami di abete, o ciuffi di pino, o fiori freschi, rivelano la cura che periodicamente le donne del paese dedicano alla memoria di quei morti. Il cimitero, inaugurato già nel luglio del 1915 per volontà del sindaco di allora, Josef Schifferer, ospita le spoglie di 669 soldati dell’esercito austro-ungarico, morti durante la Grande Guerra, oltre a 123 prigionieri russi, serbi, romeni, tutti deceduti per lo più nei vari ospedali da campo che erano stati allestiti nella Bruneck di allora. Ci sono anche i resti di 19 soldati della Wermacht aggiunte dopo la seconda guerra mondiale. I soldati italiani, originariamente sepolti nello stesso luogo, negli anni Trenta vennero traslati nel Sacrario militare di Pocol, presso Cortina. In sostanza, si vollero tenere insieme i morti dell’eterogeneo esercito austro-ungarico, per cui accanto a croci cattoliche e protestanti, si incontrano quelle ortodosse, la stella di Davide per i caduti ebrei e la mezzaluna islamica dedicata ai bosniaci musulmani. Una targa precisa che le salme vennero tutte interrate con il rito della religione a cui appartenevano i caduti.
Rispetto ai grandi sacrari monumentali, dove sono custoditi i resti di decine di migliaia di soldati sommersi nel “grande macello” della prima guerra mondiale, qui si respira maggiore intimità. E certo non si aggiunge, all’oltraggio dell’inutile sacrificio, quello della sfacciata celebrazione patriottica e blasfema, come ad esempio a Redipuglia, dove i tre livelli rappresentano simbolicamente l’esercito che scende dal cielo, con tre croci sulla cima che richiamano l’immagine del Golgota. È vero che, in quest’ultimo caso, la pietà è raddoppiata per il duplice sfregio: la morte e la sua esaltazione. Ma certo l’onore più grande da rendere ai caduti sarebbe quello di trovare il modo di fermare le guerre. Ma questo sembra al di fuori della portata del genere umano.
Gabriella Caramore, “Cimiteri di guerra”, in Jesus, novembre 2019