“Con Fra Dolcino contro l’inutile strage” (R. Gremmo)
Contro l’Obelisco dolciniano, diventato un simbolo, non erano mancati atti di teppismo. Fin dal settembre del 1907.
Ancor più gravi quelli del 1917.
Per comprendere l’assoluta non casualità di questo episodio bisogna pensare a quanto dovevano essere ‘caldi’ quei mesi d’estate in piena guerra in cui scopriamo i miti biellesi per la pace.
Troppi mesi erano trascorsi da quando, fra fanfare, retorica e bandiere al vento i soldati erano partiti per “liberare” le terre irredente, che, poi, oltre tutto, irridente non erano.
I mesi erano trascorsi ed al fango, al gelo, alla morte ed agli orrori della trincea si era unito il triste spettacolo della miseria nelle retrovie laddove gli alti ufficiali programmavano massacri a tavolino ed i “pescecani” facevano lauti affari, mercanteggiando sulla pelle dei poveri.
Nel luglio del 1917, quando la rivoluzione di febbraio in Russia già aveva sparso per il mondo fremiti di pace, il proletariato biellese scende in campo e fa sentire la propria volontà di opposizione intransigente, dura, senza appello alla guerra ed al capitalismo che l’ha provocata.
È Rinaldo Rigola, fin dal 26 giugno, ad indicare sul “Corriere Biellese” (ove si firma “Tenax”) la via maestra: la linea uscita dai congressi internazionali di Zimmerwald e Kiental, vale a dire la lotta allo sciovinismo ed agli interessi borghesi di continuazione del conflitto.
Una sola è la chiara parola d’ordine che riecheggia in quell’estate che scotta: tutti la conoscono, perché viene propagandata da una popolarissima canzone:
“Prendi il fucile e gettalo per terra / vogliam la pace e mai più vogliam la guerra”.
Grande è la volontà di lotta dei tessitori, delle donne, dei ragazzi mobilitati per lavorare nell’industria di guerra.
Quando, il primo luglio, la polizia arresta pretestuosamente a Biella alcuni giovani socialisti (fra cui Ottavio Capra, Virgilio Lusetti, Alfonso Ogliaro) riuniti alla Camera del Lavoro, immediata è la reazione operaia: il Biellese si ferma, lo sciopero divampa in tutte le vallate, una dopo l’altra le ciminiere “ai fan pa pi fum”.
Si tratta d’una dimostrazione di forza, di maturità, di coscienza enorme: le Autorità sono costrette a rilasciare immediatamente gli arrestati, “rei” di null’altro che delle proprie opinioni.
È ancora “Tenax”, il 20 luglio, sul bisettimanale socialista, a definire il programma della lotta: “Oggi per la Pace, domani per il Socialismo”.
Il 23 agosto, di nuovo, scoppia lo sciopero generale nel Biellese e in tutta la Valsessera manca il pane.
Dopo il Biellese è Torino che si leva (con un grande moto di fede e di volontà) contro la guerra, la miseria, la fame: “Pane e pace” è il grido che riecheggia dal rione Vanchiglia a Borgo Dora, da Porta Nuova a Borgo San Paolo.
Gli operai sono armati, si innalzano le barricate.
Durissima fu la reazione del governo e di militari: non si conosce il numero esatto dei caduti sotto il piombo del massacro che riportò l’ “ordine” a Torino; cifri attendibili parlano tuttavia di 500 operai ammazzati e di 2000 feriti.
Scriverà Antonio Gramsci:
“Gli operai, i quali erano armati dieci volte peggio dei loro avversari, furono battuti. Invano avevano sperato nell’appoggio dei soldati: i soldati si lasciarono trarre in inganno credendo che la rivolta fosse stata provocata dai tedeschi”.
Nel Biellese le notizie sulle giornate d’agosto a Torino praticamente non arrivano, perché la censura (implacabilmente) imbianca le colonne dei giornali “sovversivi”.
Soltanto un grande convegno, tenutosi il 26 dello stesso mese alla Camera del Lavoro, permetterà ai socialisti biellesi di venire a conoscenza della pagina di eroica opposizione al militarismo scritta dagli operai torinesi: l’avv. Belloni (della Direzione del P.S.I.), Rigola, Guarnieri (per i metallurgici), Quaglino (per gli edili), Cravello (per i tessili) ed Andrea Viglongo (a nome dei giovani socialisti piemontesi) relazionarono sui fatti di Torino.
Ardente e commosso è il messaggio che viene inviato ai fratelli in lotta nel capoluogo subalpino. Scritto sotto forma di “indovinello”, riesce a sfuggire alla censura ed appare sul “Corriere Biellese”:
“Il nostro pensiero vola là / dove non si dice / ed offre ad essi / che non nominiamo / l’omaggio commosso / di tutto il proletariato biellese”.
Pochi giorni dopo lo stesso giornale inchinerà le proprie bandiere rosse di fronte al “proletariato torinese… ora azzannato ferocemente dai suoi nemici”.
Non è un caso, perciò, che in tale clima incandescente, il 16 ottobre, una settantina di socialisti salgano all’obelisco dolciniano.
De resto, fin dalle celebrazioni di dieci anni prima, la memoria dolciniana e la sua “rivendicazione” hanno avuto anche un aspetto antimilitarista.
Ne darà conto il “Corriere Biellese”:
“Favorito da un bellissimo sole autunnale e da una brezza salutare e propizia per coloro che non sono abituati alle salite sui monti, ebbe luogo domenica scorsa l’annunciata gita al ‘Fra Dolcino’ alla quale parteciparono una settantina di compagni e compagne.
La vendemmia e la stagione un po’ inoltrata non consentirono a molti di parteciparvi e questo fatto suggerisce di organizzarla negli anni venienti un po’ più per tempo, in modo che riesca più gradita e più comoda per tutti.
Ciò nonostante, la gita riuscì bene e fu di soddisfazione per quelli che ne presero parte. Dopo una visita all’Obelisco fra Dolcino e una prima refezione ristoratrice sulla sommità del monte, i gitanti si raccolsero nell’Alpe Margosio, ove le conversazioni e le discussioni si alternavano durante la refezione di mezzogiorno, fra la più schietta cordialità di pensiero e di sentimenti.
Un pensiero profondo ed assillante era nell’animo di tutti, ed è il pensiero sull’attuale flagello mondale che porta lutti, dolori e miserie nelle famiglie ed in tutte le nazioni. Oh, come diventa più intensa la nostalgia del regno della Pace in quei luoghi di quiete e di lavoro ove i buoni pastori preparano gli ottimi e preziosi alimenti, quali sono i latticini e i loro derivati. Oh, come è più flagellante sull’alta montagna il ricordo della guerra!”.
Malgrado non sia possibile dire le cose troppo esplicitamente, pur tuttavia, il giornale riesce ad esprimere il proprio sentimento di ostilità nei confronti dell’ “inutile strage”, ed aggiunge:
“Salutando intanto da queste colonne i compagni e le compagne che presero parte alla gita Fra Dolcino, auguriamo di poter farne anche negli anni venturi e che ad esse possano parteciparvi anche i numerosi nostri buoni compagni che attualmente sono sotto le armi e che, come noi, anelano al trionfo del regno della pace, della libertà, della giustizia e del lavoro”.
Roberto Gremmo, Il tesoro di Fra Dolcino. Un tradizione popolare Biellese e Valsesiana, Edizioni ELF Biella, 1995, p. 220-225