Dal Modernismo: opporsi alla guerra! (P. Scoppola)
Fra coloro che avevano partecipato al movimento di riforma religiosa del primo novecento (* il Modernismo, ndr) e specialmente fra quelli che dopo la condanna della Chiesa, si erano ritirati nell’obbedienza e nel silenzio, si nota spesso un orientamento di netta opposizione alla guerra. Una delle idee cardini della auspicata riforma religiosa era stata proprio quella del ritorno ad una religiosità evangelica, la guerra non poteva che apparire come la massima negazione dello spirito evangelico. (…).
La rivista di Lugano il “Coenobium” diretta in quegli anni dal vecchio socialista Enrico Bignami è particolarmente larga nell’accogliere queste testimonianze contro la guerra. Già nel luglio del 1914 il “Coenobium” apre una rubrica “Guerra alla guerra” per accogliere queste voci: sulle sue pagine il pacifismo socialista si incontra con un pacifismo cristiano, spesso utopistico, ma sempre suggestivo e sincero. La rivista dà tra l’altro particolare rilievo alla opera di Romain Rolland l’autore di Jean Christophe il monumentale romanzo tutto diretto ad esaltare la fraternità fra i popoli europei; riprende e commenta le varie e numerose manifestazioni del socialismo internazionalista contro la guerra.
La rivista “Bilychnis” era comparsa a Roma nel 1912 a cura della Facoltà teologica battista: anche essa apre, dal fascicolo di febbraio 1915, una rubrica sulla guerra. Non è orientata, come il “Coenobium”, in senso pacifista, finirà anzi con l’aderire alla guerra nel maggio del 1915, ma ospita largamente le più varie tendenze.
Su questi periodici dunque possiamo ricercare il giudizio sulla guerra di alcuni cattolici che sono stati legati alla crisi modernista, particolarmente interessante è la testimonianza del P. Alessandro Ghignoni, che della crisi modernista aveva profondamente sofferto salvando però la sua fede di cattolico e il suo carattere di sacerdote. “Pretendere che il cristianesimo – egli scriveva a un amico in una lettera pubblicata da “Bilychnis” – entri a regolare e a santificare la guerra è un sogno. Non può né regolare né tanto meno santificare quella che è una delle più tristi appartenenze del mondo che è venuto a distruggere”.
La guerra appariva al Padre Ghignoni anticristiana, non solo come espressione di violenza tra i popoli, ma anche come conseguenza di una costituzione sociale delle singole nazioni contraria ai principi del cristianesimo, in cui cioè i popoli sono soggetti, non liberi, in cui non si attua la legge di autonomia personale mediante la coscienza di sé data a ciascuno uomo; non è perciò un popolo che offende un altro popolo, ma un governo che spinge un popolo contro l’altro. Osservazioni interessanti perché rappresentano il rovesciamento di tutte le tesi prevalenti nel mondo cattolico, comportano il rifiuto della cieca remissività ai governati che indebitamente “si sono presi e si riservano – sono ancora parole del Ghignoni – con titolo di diritto divino l’ufficio di, diciamo così, pensare per tutti, di volere per tutti, di disporre per tutti”; comportano fra l’altro il rifiuto della tematica tradizionale della guerra giusta e pongono le premesse dell’obiezione di coscienza (non a caso l’articolo del Ghignoni da cui ho tratto quest’ultima citazione si intitola Non uccidere) (Non uccidere, “Coenobium”, agosto-settembre 1915, p. 47-49).
Pietro Scoppola, Cattolici neutralisti e interventisti alla viglia del conflitto
(in Giuseppe Rossini (a cura di), Benedetto XV, i cattolici e la Prima guerra mondiale, Atti del Convegno di studio tenuto a Spoleto, 7/9 settembre 1962, Ediz. 5 Lune, Roma, 1963, p. 138-139)