“Grande (e sacra) Guerra” (E. Gentile)
Cadde nel vuoto la condanna della guerra come inutile strage, pronunciata da Benedetto XV il 1° agosto 1917, nel terzo anno della Grande Guerra, con un appello a tutti i capi dei popoli belligeranti per una pace giusta e duratura. Quando esplose il conflitto, sul trono di Pietro vi era Pio X, che il 2 agosto 1914 aveva esortato i fedeli a volgersi a Cristo «mediatore potentissimo degli uomini presso Dio», per invocare il suo aiuto, «ispirando ai capi delle nazioni pensieri di pace». Vecchio e malato, papa Sarto morì il 20 agosto, sopraffatto, si disse, dal dolore per il dilagare della guerra in Europa fra potenze cattoliche e cristiane.
Le invocazioni alla pace non furono ascoltate dai capi degli Stati belligeranti, e neppure dalla grande maggioranza delle chiese. Il pacifismo cattolico si dissolse rapidamente come il pacifismo socialista. Le gerarchie cattoliche, pur invocando la pace, aderirono alla guerra proclamata dai governanti degli Stati. Lo stesso fecero le chiese protestanti e le chiese ortodosse. Pochi furono i religiosi che si opposero alla guerra con decisione e senza ambiguità, mentre furono numerosi quelli che giustificarono la guerra del loro Stato come una «guerra giusta», una «guerra santa», «una crociata» per combattere un nemico identificato, benché cristiano, con l’Anticristo o il Principe delle tenebre.
Così, fin dalle prime settimane della Grande Guerra, popoli cattolici, protestanti e ortodossi, si massacrarono invocando l’aiuto di Dio per la vittoria, come ha mostrato Xavier Boniface raccontando la storia religiosa della Grande Guerra (Histoire religieuse de la Grande Guerre, Paris, Fayard 2014).
Al momento di iniziare la guerra contro la Serbia, Francesco Giuseppe dichiarò nel suo proclama ai popoli dell’impero: «Ho preso consapevolmente le mie decisioni confidando nella giustizia di Dio». Il primo ministro serbo proclamò: «La nostra è una causa giusta. Dio verrà in nostro aiuto». E lo zar di Russia si rivolse ai suoi sudditi invocando «sulla santa Russia e sulle nostre truppe valorose la benedizione divina, con fede profonda nella bontà della nostra causa e con umile fiducia nella Provvidenza onnipotente». E l’imperatore di Germania disse alla folla radunata sotto il suo balcone: «Ordino a tutti voi di recarvi in chiesa, di inginocchiarvi davanti a Dio per pregarlo di venire in aiuto del nostro valoroso esercito». A guerra inoltrata, il 14 dicembre 1914, il vegliardo imperatore asburgico, con solenne cerimonia, consacrò se stesso e la sua casata al Sacro Cuore di Gesù, per stringere con Cristo «una santa alleanza contro tutti i nostri nemici visibili e invisibili». Il clero cattolico di Germania non volle essere da meno, e all’inizio dell’anno successivo officiò la consacrazione della nazione tedesca al Sacro Cuore. Era tuttavia francese la suora Marguerite-Marie Alacoque, che nel 1673 aveva ricevuto l’apparizione del Sacro Cuore. Pertanto, consacrando la Francia al Sacro Cuore di Gesù l’11 giugno 1915, a garanzia della sua vittoria, la chiesa francese rivendicò «il patto» che era stato «siglato ormai più di due secoli prima dal Signore e dalla propria figlia “prediletta”, la Francia», come narra Sante Lesti nel libro dedicato ai riti di consacrazione durante la Grande Guerra. In effetti, la Terza repubblica laica aveva un privilegiato rapporto genetico col Sacro Cuore, che risaliva al 1870, quando la Francia, invasa dai prussiani, fece voto di costruire sulla collina di Montmartre la basilica del Sacro Cuore. Per fortuite coincidenze, la basilica fu completata nel 1914.
La Grande Guerra intensificò la consacrazione delle nazioni belligeranti al Sacro Cuore. In Italia, la consacrazione dell’esercito italiano avvenne il 5 gennaio 1917, seguita sei mesi dopo prediletta. Un’illustrazione della suora francese Marguerite-Marie Alacoque che nel 1673 ricevette l’apparizione del Sacro Cuore. In virtù di questo precedente la Francia nel 1915, consacrandosi al Sacro Cuore di Gesù, dichiarò di essere la figlia « prediletta » del Signore dalla consacrazione delle nazioni alleate. I riti di consacrazione non legittimarono solo la guerra degli Stati, ma furono, come osserva Lesti, pratiche «di legittimazione di una guerra cattolica, di una crociata cattolica», compiute con l’intento egemonico di ricristianizzare le due nazioni, che la politica laica aveva allontanato dalla Chiesa
L’adesione delle chiese alla guerra degli Stati, con le prediche e la partecipazione dei cappellani alla guerra di trincea, ebbe effetti imprevisti sui rapporti fra religione e politica. L’effetto immediato più importante fu la pace religiosa – qualcuno più cautamente la definì una tregua – all’interno di ogni Stato. I conflitti che avevano contrapposto Stato e Chiesa, protestanti e cattolici, credenti e laici, cessarono di colpo con la union sacrée generata dalla guerra, come avvenne in Francia. Il clero e i cattolici si riconciliarono con la Terza repubblica che professava la religione civile della laicità e dieci anni prima aveva adottato severe leggi anticlericali. I cattolici francesi vollero dimostrare alla repubblica laica la loro lealtà di fedeli patrioti, rivendicando nello stesso tempo il primato della cattolicità quale componente essenziale della nazione francese. Lo stesso avvenne in Italia, nonostante la questione romana ancora aperta.
I governanti laici, pur astenendosi dall’invocare l’aiuto di Dio, accolsero volentieri la collaborazione del clero per esortare i soldati a combattere. La propaganda bellica fece largo uso dell’immagine di Cristo che benediceva i soldati in trincea o accoglieva i caduti come martiri della fede. Una cartolina di propaganda austriaca raffigurava un barbuto Dio biblico, circondato da una luce radiosa, mentre volgeva lo sguardo benevolo sull’aquila imperiale, sovrastato dalla didascalia: «Dio protegga l’Austria». Sulla borchia delle cinture, i soldati tedeschi ostentavano l’iscrizione «Gott mit uns» (Dio con noi), imposta dal sovrano prussiano fin dal 1847. Sul fronte opposto, Alfred Baudrillart, vicario generale di Parigi e rettore dell’Università cattolica, sosteneva che la Germania, nonostante le dichiarazioni religione del suo sovrano, nel suo modo di condurre la guerra, nel comportamento dei comandanti e dei soldati, dimostrava di «essere l’avversario teorico e pratico del cattolicesimo, e spesso di tutto il cristianesimo».
Il sogno egemonico delle chiese non fu realizzato. Invece, durante la Grande Guerra, fu la politica a ricevere dai riti di guerra celebrati dalle chiese, un potente impulso alla propria sacralizzazione, attraverso la santificazione della nazione e la trasfigurazione dei soldati caduti in martiri della patria. Al culto del Sacro Cuore si affiancò, e talora si sovrappose, il culto del Milite Ignoto.
Sante Lesti, Riti di guerra. Religione e politica nell’Europa della Grande Guerra, il Mulino, Bologna, pagg. 260, € 24,00
Emilio Gentile, Il Sole 24 Ore, 20.9.2015, p. 37