Papa Francesco e i sacrifici umani a causa del “Me ne frego” fascista (R. La Valle)
I sacrifici non sono finiti, le guerre, i genocidi, le stragi, hanno continuato a contaminare il mondo. Perciò ci devono essere altre ragioni, non solo il mettersi dell’uomo al posto di un Dio sacrificatore. Il papa ha continuato a pensarci, ed è tornato a riflettere su quei primi dialoghi tra Dio e l’uomo raccontati nella Genesi; lo ha fatto il 13 settembre 2014 a Redipuglia, quando è andato a pregare prima nel cimitero austro-ungarico, poi nel sacrario militare che allinea, come lo schieramento di un corpo d’armata, centomila tombe di caduti italiani con su scritto: “Presente!”. Dalla memoria della Shoah Francesco è risalito a quella della prima guerra mondiale che l’aveva preceduta, e in cui, come ha ricordato all’Angelus, il giorno dopo, erano caduti otto milioni di giovani soldati e circa sette milioni di civili. Perché? «Quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”», ha detto il papa. “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen. 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambine, mamme, papà… “A me che importa?”. Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”.
Dunque per Francesco l’altro grande motivo che perpetua i sacrifici è l’indifferenza, il tirarsi fuori, il non curarsi degli altri.
Ha commentato Alberto Melloni sul Corriere della Sera: «Ai piedi di un mausoleo sul quale il fascismo aveva costruito una propaganda nazionalista, Francesco ha denunciato il mussoliniano “me ne frego” (ovvero “che me ne importa”) come matrice della guerra. È stato come se Francesco con la sua voce avesse ricoperto in un istante l’infinita serie dei “presente!” scolpiti dal nazionalismo sulle tombe dei centomila morti con un’altra parola: “follia!”». Solo pochi giorni prima alla Mostra del cinema di Venezia era stato presentato un documentario dell’Istituto Luce in cui si rievocava la colonizzazione della lingua italiana tentata dal fascismo, col passaggio dal “lei” al “voi”, la repressione dei dialetti, il bando delle parole straniere, il tentativo di imporre con un’unica lingua un’unica cultura. Il documentario compendiava il tutto sotto il titolo “Me ne frego”, che nel suo primo significato suonava come una sfida, come uno sberleffo alla morte, propria ed altrui, come diceva la canzone degli squadristi: “Per D’Annunzio e Mussolini eià eià, eià alalà!… Me ne frego è il nostro motto, me ne frego di morire per la santa libertà!”.
Raniero La Valle, Chi sono io, Francesco?, Ponte alle Grazie, 2015