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Pubblicato da il 17 Mar 2018 in Storia | 0 Commenti

Il bisogno di assoluto e l’insensata distruzione della vita (V. Foa)

 

Nella guerra si sciolse anche una generale crisi culturale, che era stata tra i fattori importanti della crisi politica. In Italia quella cristi aveva avuto anche forme originali – ricordo il futurismo – che esprimevano una critica del determinismo, sia di quello positivista che di quello marxista, e sostenevano l’affermazione della soggettività nelle sue forme estreme. Il destino era forgiato dalla volontà umana, non era più esecuzione di un disegno altrui. Con tutte le ambiguità che l’affermazione del soggetto ha: perché essa non ha mai una soluzione sola, lascia aperte sempre diverse soluzioni.

La cultura di quel periodo si presenta spesso come un accavallarsi di virtualità opposte, un turbine di potenzialità e di disponibilità in cerca di un assoluto irraggiungibile. Senza quest’ansia di assoluto, senza questo affanno, lo stesso fascismo delle origini sarebbe incomprensibile. L’assoluto a partire da se stessi, dalla propria parzialità, perché è il quadro generale, un disegno complessivo della società e della politica, sembravano irreparabilmente perduti. Voglio ricordare qui Renato Serra e il suo Esame di coscienza di un letterato, un saggio del luglio 1915. L’attenzione di Serra è tutta attratta dalla guerra che è già scoppiata in Europa, con gli intellettuali che muoiono in trincea, anche loro. Ma la guerra non era più una risposta al bisogno di assoluto, era solo insensata distruzione della vita.

Vittorio Foa, Questo novecento, Einaudi, 1996, p. 51

 

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