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Pubblicato da il 28 Nov 2019 in Retroscena | 0 Commenti

Il cretinismo del nazionalismo e le finzioni della guerra (A. Gramsci)

Menzogna e rassegnazione (La guerra e l’avvenire)

 

(…)

L’umanità persevererà nel cretinismo? Si è avuta un’epidemia di cartoline postali, che rappresentavano dei suini col casco a punta, dei soldati tedeschi a testa di asino, delle bionde Gretchen a testa d’oca. Delicati simboli di propaganda, degnamente espressi nell’ignobile cromolitografia. A queste patriottiche immagini fanno compagnia le cartoline sentimentali, sulle quali gli amanti cromolitografici e romantici si abbracciano al chiaro di luna e accennano a voler riguadagnare il tempo perduto.

A parte qualche differenza di sfumature, queste immagini somigliano nelle varie gradazioni alle idee e ai sentimenti del nazionalismo e dei nazionalisti; di quegli uomini, cioè che, Narcisi di nuovo genere, non avendo vita propria e non comprendendo i paesi, pretendono ammirare se stessi nel gruppo umano al quale appartengono e confondono così se stessi con la nazione.

Non è difficile immaginarsi come tali sentimenti giovino alle finzioni diplomatiche, alle finzioni e alle realtà finanziarie, ai vecchi costumi dinastici dissimulati sotto il vocabolario democratico e rivoluzionario. Questi sentimenti confusi spiegano bene come si potessero gettare tanti greggi umani contro altri greggi umani. Ma non spiegano come vi si unissero uomini che pur sembravano differenti dal gregge. Vi furono dei rivoluzionari i quali credettero di andare a uccidere la guerra; vi furono degli uomini del vecchio regime  che credevano a una legge morale della guerra.  E lo storico dell’avvenire potrà senza troppa sagacia ritrovare i sentimenti del gregge e i sentimenti degli uomini.

Ma potrà egli ricostruire l’attuale periodo della guerra? Quali documenti lo condurranno alla verità? Avrà egli abbastanza senso critico e istruzione per discernere il falso? Che la guerra si fosse nascosta in un paese e che un altro paese si armasse per uccidere era una illusione, ma questa spiega, per un certo tempo, l’impulso e il consenso degli uomini. E per i nazionalisti (non teorici, bensì la folla del nazionalismo più o meno impulsivo, più o meno ragionato) la guerra non ha bisogno d’altra spiegazione che la guerra. Essa è la suppurazione naturale di tutte le finzioni, di tutte le astrazioni personificate, di cui è foggiato ogni nazionalismo. Inoltre, nei primi mesi del cataclisma sembrava che la dottrina nazionalista si adattasse allo stato di guerra. Si credette a una guerra feroce, ma breve. Gli uomini si rassegnavano a non riflettere e bisogna riconoscere che per molti questa rassegnazione allo stato di guerra. Il sofismo del patriottismo rivoluzionario fu potente quanto i sofismi del patriottismo ortodosso. La guerra. Per gli uni, creava la necessità della salvezza pubblica, e per gli altri la salute pubblica, le esigenze dello stato di guerra si confondevano con la salvezza della libertà e di tutte le grandi speranze dei popoli…

Ma ecco che la guerra, diventa stabile, ha consumato e distrutto le finzioni che mettono alla guerra e la alimentano. I guerrieri pacifisti del 1914 non avevano previsto questo. Taluni erano partiti, simili agli eroi delle leggende, che vanno a sterminare il dragone, l’idra, il mostro. Non si immaginavano che il loro sacrificio nutrisse la guerra al pari della pura e semplice obbedienza e che un giorno la guerra continuasse, spogliata dei sentimenti, delle passioni e degli odi umani e ridotta a un’azione automatica.

Quale critico sagace dell’avvenire rileverà questo automatismo della guerra? Dove ne troverà egli la testimonianza e la traccia?

E non si dica che si tratta di una naturale stanchezza. Sembra che gli uomini si accorgano finalmente della inutilità della morte. Nel momento stesso che i ciarloni, secondo il loro costume, parlano nel modo più prolisso del principio delle nazionalità o del principio della nazione, sembra che gli uomini assistano spaventati al dileguarsi delle loro finzioni e finalmente contemplino la guerra sopra il suo vero piedistallo.

Si è ucciso Jaurès, si è messo in prigione Liebknecht. Non si è permesso che strappassero gli orpelli della menzogna. Ma gli orpelli cadono egualmente, uno ad uno. Viene fatto di pensare a quelle baracche da fiera, dove per giuoco di specchi attraverso i vestiti di una persona si vede apparire il suo scheletro.

 

 

 

 

Antonio Gramsci, Menzogna e rassegnazione (La guerra e l’avvenire), 3 novembre 1917

(in Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, chiarelettere, 2011, p. 87-89)

 

 

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