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Pubblicato da il 6 Feb 2017 in Chiesa | 0 Commenti

“Il militarismo: organizzazione di ozio, soprafazione e corruzione”: Don Mazzolari e l’esercito (P. Mazzolari)

“Il militarismo: organizzazione di ozio, soprafazione e corruzione”: Don Mazzolari e l’esercito (P. Mazzolari)

 

4 giugno 1920..… A Teschen vidi il Cappellano del M. Baldo, don Pesenti. Ci siamo scambiati le impressioni. Anche lui è stanco e desidera tornare. L’ambiente militare – in questo siamo tutti d’accordo- non è più tollerabile. Durante la guerra, sia per la gravità del compito, sia perché uomini di ogni condizione civile ne trasformavano la fisionomia, l’esercito era mutato. Accanto a ufficiali senza mente e senza coscienza incontravi tipi simpaticissimi, i quali portavano nel compimento del loro dovere militare la stessa scrupolosità, la stessa nobiltà professionale: tipiche, pur essendo talora lontani dalla religione, perché intelligenti e onesti sapevano essere più che rispettosi, e valutare convenientemente l’importanza educatrice del sentimento religioso. Tra questi il Cappellano trovava i migliori amici, chi meglio lo sapeva intendere e coadiuvare. Se ne sono andati tutti con la smobilitazione. L’esercito ha ripreso, per reazione anche, una faccia ancor più antipatica che prima della guerra, poiché i molti rimasti si inorgogliscono di meriti che essi non hanno meritato. Sono, in gran parte, gli ex sottufficiali di ieri: gli spostati che la guerra ha portato su fino a capitano e più in là, e che incapaci d’altro si sono ben volentieri accomodati nelle file dell’esercito, dove la vita è comoda e avventurosa; sono infine i ragazzi delle ultime classi, con la licenza ginnasiale o tecnica, se l’hanno, e con tutti i capricci e la storditezza della età accresciute dalla licenza senza freno e dal denaro (la classe del 1900 che non ha combattuto, poi quella del ‘1). Ci sono ancora qua e là delle eccezioni, uomini retti e nobili, trovatisi nell’esercito e costrettivi a rimanere per ragioni particolari: questi sono i primi a soffrirne, vedendo i loro sforzi rompersi contro la cattiva volontà della maggioranza. Qui in Slesia sono tutti venuti per correre l’avventura. Paesi nuovi, donne tedesche. Noi siamo i padroni e saremo i conquistatori. Con questo animo partivano dall’Italia, e ogni cosa subordinano a questa ricerca fatta con ignobilità, spesso e stupidamente. Quando arrivano in nuova sede non si domandano se i soldati possono essere bene accantonati, se il servizio per essi è gravoso o meno, che cosa si può fare per migliorarlo, se c’è qualche cosa da apprendere. No, si fa la caccia alla donna, non si cerca che lei, qualunque essa sia e in qualunque modo la si possa avere. I soldati sono l’ultimo dei pensieri e quando vi sono costretti ad occuparsene, eccoli svogliati, irritati, come dinnanzi a gente che toglie loro di attendere a cose più importanti. E’ penoso tutto questo soltanto a vederlo di lontano. Ufficiali del Battaglione, ufficiali e funzionari della Missione, di qualunque grado e di qualunque nazione, fanno pazzie. La miseria della popolazione ha dato il tracollo al costume, facile anche prima. Una frenesia di godimento ha invaso tutti. Le cose serie a domani… E intanto i plebisciti si rimandano, le questioni si procrastinano. Che importa se migliaia di minatori scioperano, se milioni di gente attendono una decisione che li metta tranquilli nel loro focolare! Così, proprio così, muore il militarismo! Una tal morte gli è soltanto degna. Come si respirerà meglio quando la terra sarà liberata da questa permanente organizzazione di ozio, di sopraffazione e di corruzione!

(Diario dal 1905 al 1926, Dehoniane, 1981)

 

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