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Pubblicato da il 9 Mar 2016 in Storia | 0 Commenti

Il Nordest figlio della Grande guerra (Wu Ming I)

 

Se vogliamo capire cosa abbiano in comune queste terre diverse e plurime al loro interno, e dunque cosa sia questo “Nordest”, dobbiamo ripartire da qui, dalla presenza e dal progressivo ritirarsi dell’Austria, e dalla conseguente dimensione di confine che fece delle immaginarie “Tre Venezie” il teatro della Grande guerra, e della loro unione la posta in gioco.

Non parleremo di “Nordest” senza la Prima guerra mondiale. Il Nordest è il prodotto di quella guerra, che operò una cesura irreversibile. Dopo, nulla è stato più come prima. Assurdo e futile ripescare identità precedenti – la Serenissima o l’impero – cercando di ritrapiantarle nell’oggi: sono essiccate, morte da tempo.

Il Nordest è figlio delle guera granda in ogni suo aspetto, a cominciare dal paesaggio.

Il conflitto sconvolse i vecchi territori e li cambiò per sempre. Mai si era visto un tale disboscamento. Il legname serviva per fare ponti, passerelle, pali del telegrafo, trincee, baracche, calci di armi da fuoco… Nel 1918 il botanico veneto Lino Vaccari, approssimando per difetto, calcolò l’abbattimento di due milioni di metri cubi di alberi. Per le sole montagne del Vicentino, l‘Istituto Nazionale di Economia Agraria parlò di 4680 ettari di bosco andati perduti – l’equivalente di 6mila e quattrocento campi da calcio – e oltre 5700 “gravemente compromessi”.

A questi abbattimenti vanno aggiunte, naturalmente, le distruzioni del paesaggio e del territorio causate non solo dalle bombe e dagli incendi, ma anche dalla‘avanzare, accamparsi e ritirarsi di centinaia di migliaia di uomini.

In Trentino, le aree devastate vennero chiamate “la zona nera”. L’espressione rendeva l’idea: nella tera ora “redenta”, la guerra aveva ridotto di quasi due terzi la superficie coltivata (da 527mila a 295 ettari), ucciso quasi metà del bestiame (passato da 106mila a 54mila capi) e ridotto la produzione vitivinicola a un’ombra di se stessa (da 703mila e 174mila quintali di uva da vino).

Wu Ming I, Cent’anni a Nordest, Rizzoli, 2015, p. 115-117

 

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