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Pubblicato da il 19 Gen 2017 in Storia | 0 Commenti

Il “trauma primigenio” europeo (C. Pavone)

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Il 1914 è una data tanto traumatica perché ruppe sia un ordine e un equilibrio politici, sia un ordine e un equilibrio sociali e cultuali. Ha scritto Chabod che “lo sviluppo drammatico dell’ultimo periodo di storia europea” (F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Laterza, Bari, 1961, p. 81) sta proprio nel fatto che l’idea di nazione si è staccata da quelle dell’equilibrio e del consorzio europei nonché da quella della libertà, e si è volta contro l’Europa.

La prima e poi la seconda guerra mondiale possono essere interpretate sia come il trionfo che come l’inizio della crisi del principio di nazionalità, visto ottimisticamente come garanzia che, se si fosse attuato ovunque, avrebbe assicurato pace e stabilità nella convivenza dei popoli. Anche Hobsbawm, che intitola il capitolo del suo libro dedicato all’argomento “L’apogeo del nazionalismo, 1915-1918”, lo apre con la seguente affermazione, basata sul peso che ebbero nella sistemazione dell’Europa del primo dopoguerra sia i progetti wilsoniani che quelli leninisti, entrambi, e in concorrenza fra di loro, facenti appello al principio dell’autodeterminazione dei popoli: “Il ‘principio di nazionalità’ del secolo XIX ebbe il suo momento trionfale alla fine della prima guerra mondiale, nonostante ciò non rientrasse né nelle previsioni in linea generale, né nella intenzioni dei futuri vincitori in linea particolare” (Eric J. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismo dal 1780, Einaudi, Torino 1991, 1993, p. 155)

Il senso di una comunità europea era certamente più forte nel 1914 che nel 1939, e questo contribuisce a spiegare la violenza di quel trauma primigenio. Norberto Bobbio ne ha dedotto che, se di guerra civile europea si deve parlare, questa definizione si attaglia più alla prima che alla seconda guerra mondiale (Osservazione fatta a voce nel corso di un seminario tenutosi presso il Centro Gobetti di Torino nel febbraio 1994; * in nota, ndr). Comparve tra il 1914 e il 1918 la preoccupazione che le ragioni militari della guerra sopraffacessero quelle del civile colloquio fra i popoli. Valga per tutti l’esempio di Benedetto Croce, il quale “durante la guerra aveva manifestato il suo sdegno per gli studiosi che venivano meno ai loro doveri verso la verità avallando con la loro autorità le menzogne della propaganda di guerra” (Norberto Bobbio, Julien Benda, in “Il Ponte”, XII, 8-9, pp. 1377-92, poi in Id., Il dubbio e la scelta. Intellettuali e potere nella società contemporanea, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993, donde cito, p. 44; * in nota, ndr).

Il carattere di lotta fra democrazia e autocrazia che, con qualche forzatura, la prima guerra venne sempre più assumendo, alimentava come proprio sottoprodotto i rischi segnalati da Croce, che trovarono comunque un più sostanzioso nutrimento nelle contrapposte furie nazionalistiche.

Norberto Bobbio, Claudio Pavone, Sulla guerra civile. La Resistenza a due voci, Bollati Boringhieri, 2015, p. 108-109

 

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