La folle strage. “Classici Contro 2015” (A. Camerotto)
Tutti abbiamo sentito fin da piccoli i racconti della Grande Guerra, abbiamo visto le file di lapidi e di croci, le serie infinite di nomi in ordine alfabetico negli ossari monumentali. Il ricordo collettivo si era però quasi perduto. Tra lo scorso anno in Europa e per noi in questo 2015, nel centenario dell’entrata in guerra dell’Italia, questo ricordo lo abbiamo ripreso, siamo ritornati coi nostri passi sui luoghi del fronte, tra il Carso, il Piave, il Grappa e il Pasubio. Le parole che valgono bene a descrivere l’emozione, ma anche il nostro sguardo ‘differente’ di oggi, sono forse quelle di Paolo Rumiz: “So che ogni metro è impregnato di agonie, segnato da vite smembrate, crocifisse su reticolati o mutilate da tagliole. Ma so anche che nulla, su quel terreno, rammenta l’immensità del dolore. Dovrei calpestare bossoli, immondizie, sangue, stracci, membra umane, gavette, resti di cibo, zoccoli, ferri, escrementi, suole di scarpe, ma l’uomo e la natura hanno cancellato ogni cosa” (Come cavalli che dormono in piedi, Milano 2014, p. 12).
Il problema, infatti, è che cosa fare di fronte alla memoria di questi eventi. Le “celebrazioni” hanno ovviamente perduto ogni senso. Anche le “commemorazioni” suonano troppo retoriche e lontane. Ma tanto meno possiamo accettare l’idea, più facile per il nostro tempo, di un turismo della Grande Guerra: si indignerebbero dall’Aldilà i fanti caduti sul fronte. Qual è allora la via? Dopo cent’anni, il distacco è buono per riflettere, se non diviene rimozione: tutto è cambiato, l’Europa non ha (forse) più confini, e i nazionalismi hanno poco senso, anche se facciamo fatica a conoscere le lingue e le culture e le vite degli altri. Ma da questa distanza si percepisce bene che quella Grande Guerra è stata una “folle strage” – mentre non lo si capisce se si trovano delle buone ragioni da una parte e dall’altra per le guerre vicine o in preparazione. Allora il “ricordare insieme” che possiamo proporci – e che sta nell’idea di Classici Contro – è quello di mettere insieme molti voci, molti sguardi diversi, e tremila anni di pensieri a partire da Omero.
Andiamo a rileggere tutti i libri che troviamo, cerchiamo tutte le immagini, i film, le musiche. Queste voci le facciamo risuonare coralmente, meglio se dissonanti: il titolo Teatri di guerra unisce ciò che è accaduto sul fronte e i nostri teatri dove possiamo ascoltare e condividere in pensieri intorno alla guerra. Mettiamo vicine tra loro le parole che fanno paura di Ernst Junger dalle sue tempeste d’acciaio con quelle della città in guerra nello scudo di Achille, le sagge risposte dello stolto e del bravo soldato Svejk di fronte agli entusiasmi dell’impero accanto al progetto utopico di pace di Lisistrata, ossia di “colei che scioglie gli eserciti”, dalla commedia di Aristofane. La noia e l’inutilità della guerra dei diari di Gadda, pur nel generoso e ingenuo patriottismo, lo poniamo accanto allo scudo abbandonato e alle critiche di Archiloco contro i generali che si pavoneggiano, la rotta di Caporetto di Hemingway (con le fucilazioni in riva al Tagliamento) può stare insieme alla disfatta degli Ateniesi in Sicilia nel 413. Le stragi dei bambini nel grande vaso di Mykonos del VII sec. a. C. dialogano con i cadaveri dei soldati massacrarti dalle armi più moderne nei disegni di Otto Dix. È questa la migliore coscienza della nostra Europa di oggi, è fatta delle voci della poesia e dell’arte, dei quaderni e delle lettere di quei giovani perduti, delle memorie delle famiglie e dei nipoti. È una memoria possibile, se è fatta dell’attenzione di tutti, studenti, studiosi e cittadini qualsiasi, giovani e vecchi senza distinzione. Ma con più passione da parte dei nostri giovani. Impariamo così a riconoscere il volto di Ares, a comprendere questa terribile invenzione degli uomini.
Il rifiuto della guerra degli Uomini contro di Francesco Rosi si intreccia allora nei nostri pensieri con le parole di Euripide nelle Troiane. Ed è un antico dio pagano, Poseidone, che le pronuncia: “stolto tra i mortali è colui che porta la guerra e distrugge le città, i templi e le tombe degli altri”. Chi fa la guerra, proprio quando crede di essere il vincitore, proprio quando si illude che non tocchi a lui, “lascia deserto dietro di sé e inevitabilmente prepara la sua stessa rovina”. Queste sono forse le parole che non dobbiamo dimenticare, quando camminiamo sulle pietre intrise di sangue qualsiasi cosa diremo o penseremo mentre proviamo a rimettere insieme la memoria della nostra “grande guerra”.
Alberto Camerotto (* Università Ca’ Foscari Venezia), “Stolto tra i mortali è colui che distrugge e lascia deserto dietro di sè”, in Il Giornale di Vicenza, 9.4.2015, p. 48