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Pubblicato da il 19 Gen 2021 in Letture | 0 Commenti

La guerra e la rivolta contro di essa (I. Fiore)

La guerra e la rivolta contro di essa (I. Fiore)

Chi può sorridere davanti a tutta questa devastazione, se non chi vuole con tutta se stessa continuare a vederci la vita? In mancanza di questa sua vocazione, nessuna di noi ora sarebbe qui.

(…)

Il mio mondo sta cambiando ancora, e non so per quanta parte il mio mutamento conserverà intatte le radici. È un incessante divellere e tranciare ciò che era ben piantato in questa terra. Abitudini, tradizioni e certezze saltano in aria assieme ai massi all’ombra dei quali hanno attecchito. Giù in paese c’è chi dice che sia il futuro che avanza, ma stento a intravederlo tra i vapori della guerra.

(…)

E’ solo montagna, sono solo uomini. Uomini che hanno fame, che hanno paura, che hanno nostalgia di casa, e che devono uccidere, come i nostri.

Non è naturale stare fermi a pochi passi gli uni dagli altri, condividere gli stessi sacrifici e i medesimi patemi. Serve una risolutezza sovrumana per non sentire il richiamo e riconoscersi l’uno nell’altro.

(…)

Non so se laggiù il fronte stia tenendo. Ho imparato a diffidare delle notizie urlate dai giornali. Provo fastidio alla vista delle vignette satiriche, così come davanti alle cartoline propagandistiche. Mostrano una guerra che qui non abbiamo mai incontrato, che non esiste, fatta di giganti, di scontri fra titani senza nemmeno lo spargimento di una goccia di sangue, un arto spezzato o perduto, viscere sparse su un campo di carne. È una guerra di cui si stenta ad immaginare l’odore, che io mai potrò dimenticare; le è stata tolta la voce con cui continua a urlare nelle notti di noi che invece la viviamo. È una narrazione bieca, che non possiede nemmeno l’epica dei poemi, perché non c’è valore laddove non schiuma il sacrificio.

(…)

“Agata?”

Il dottor Janes deve scrollarmi più volte per ottenere da me una reazione. Le fotografie scivolano dalle dita e si sporcano di fango.

“Agata, non fatemi preoccupare. Dite qualcosa.”

Se potessi parlare, urlerei il mio dolore.

Se ora avessi voce, scaglierei una maledizione sul mondo, ché non può andare avanti quando lui è sotto terra. Anatemi sulla guerra e inni alla rivolta. Spezzate i fucili, tornate alle vostre case. Che le lame servano per dissodare la terra e le mani degli uomini accarezzino le guance di bambini e di donne innamorate, così stanche di reggere sulle proprie spalle il peso di un conflitto.

Ma non servirebbe, lui non c’è più.

(…)

La guerra non vuole cessare, sta dicendo Maria, e presto sarà di nuovo primavera e i campi dovranno essere dissodati, le sementi gettate o sarà ancora fame.

Non lo capiscono i signori della guerra? No, perché il loro piatto sarà comunque sempre colmo. Le donne dovrebbero ribellarsi, almeno loro.

(…)

“Ho scelto di essere libera.”

Libera da questa guerra, che altri hanno deciso per noi. Libera dalla gabbia di un confine, che non ho tracciato io. Libera da un odio che non mi appartiene e dalla palude del sospetto. Quando tutto attorno a me era morte, io ho scelto la speranza.

(…)

Maggio 1976

(…)

Ho visto esplodere una guerra più sanguinaria della precedente. Sono sopravvissuta.

Nuovi confini sono nati e hanno fatto in tempo a mutare come letti di fiume, perché sono fatti per riconoscersi l’un l’altro, non per dividere. Ho visto erigere muri per dividere l’Est dall’Ovest, i bianchi dai neri: sono convinta che presto crolleranno.

Ho votato, la prima volta di tante. Ho marciato per gridare la pace e l’uguaglianza e per rivendicare assieme a nuove sorelle ciò che avrebbe dovuto esserci riconosciuto naturalmente.

(…)

Da questo esercito, però, Ismar non è mai tornato. Non ha più voluto imbracciare un fucile per sottomettere un altro essere umano. Ismar è ancora “il mio diavolo pacifista”.

L’uomo è una creatura così bizzarra, ama e distrugge, riedifica e sopravvive. L’amore è vita, la vita è un vento che non comprende barriere di filo spinato, né fossati profondi quanto mari. La sua natura è espandersi.

La mano di Ismar stringe la mia, come quel giorno di tanti anni fa.

Sta attendendo di conoscere la parola che ho scelto.

Non ho dovuto faticare troppo per trovarla: è lei ad aver trovato me.

“Umanità”.

 

Ilaria Tuti, FIORE DI ROCCIA, Longanesi, 2020, pp. 44-86-97-237-276-292/293-302-305/306-308/309

 

 

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