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Pubblicato da il 28 Nov 2019 in Retroscena | 0 Commenti

“La guerra: organizzazione economico-politica del capitalismo”. Il valore ideologico delle parole (A. Gramsci)

Inconsapevolmente ci è scivolata dalla penna, come una goccia di inchiostro, la parola panciafichista. Parola arcaica, ormai fuori moda, sostituita da altre che meglio riescono a riempire la bocca: disfattista, caporettista e simili. L’altra è scaduta dall’uso, perché è svanita una mentalità, o meglio perché questa mentalità ha cambiato il centro del suo errore. Si immaginava l’atto della guerra da decidersi come una un’assemblea di tribù barbarica: per il battere delle lance al suolo, per l’ululato fiero dei guerrieri assetati di strage e di lotta. Chi si rifiutava di battere la lancia, di diventare corista nella sinfonia sgangherata degli ululi, non era che un vile affamato di fichi, per i quali voleva conservare la pancia.

La mentalità democratica e pseudorivoluzionaria astraeva completamente dall’idea di Strato, non vedeva nel paese che i singoli individui, frantumava l’unità economico-sociale borghese che è lo Stato in un infinità di volontà empiriche che avrebbero dovuto essere il popolo, il popolo generoso che batte la lancia ed emette ululati guerrieri. La Stato ha dimostrato di essere l’unico giudice della guerra, e di far la guerra seguendo solo la logica della sua natura: ha assorbito tutto e tutti e ha trovato gli antagonisti  solo in quelli che negano l’attuale natura dello Stato e la logica che se ne sviluppa. Così è tramontata la parola panciafichista, di conio democratico, prodotto da una mentalità immatura, che non conosce neppure l’essenza vera degli istituti cui affida la risoluzione dei problemi idologici dai quali si dice angosciata. Ci sono stati i panciafichisti, ma essi possono essere ritrovati tra quelli che delle forze statali si servono, e se ne sono serviti anche per la conservazione della pelle individua.

Curiosa è anche la fortuna di un’altra parola di conio democratico: guerrafondaio. La parola in origine traduceva esattamente l’espressione attuale jusquaboutiste. Fu creata al tempo delle guerre abissine e serviva a indicare gli oltranzisti d’ allora, ai quali si opponeva la democrazia lombarda del “Secolo”, e i partiti di opposizione. Oggi questi partiti sono diventati d’ordine: la guerra non è più fuori del loro programma, e come si compiva lentamente questa conversione così la parola guerrafondaio andò acquistando un significato particolare che ondeggia tra quello di “militarista” e di guerraiolo per programma. La mentalità democratica ha stabilito la casistica tra guerra e guerra, tra difesa e offesa, tra guerra democratica e guerra imperialistica: non è arrivata a comprendere la guerra come finzione di Stato, della organizzazione economico-politica dl capitalismo. Così noi abbiamo trovato la parola già mutata, e abbiamo dovuto crearne delle nuove, o meglio abbiamo dovuto adattarle dal francese: oltranzista ed esterminista, mentre sarebbe così semplice guerrafondaio per chi vuole la guerra fino in fondo.

Così le parole si adagiano nella realtà ideologica dei tempi, si plasmano e si trasformano  col mutarsi dei (cattivi) costumi degli uomini. La mentalità democratica, qualcosa che sta nell’organismo come un gas putrido, non riesce neppure nelle parole a fissare qualcosa di solido e compiuto. Panciafichista al tempo delle guerre d’Africa, il democratico è diventato guerrafondaio, ma ha cercato di far dimenticare le parole, sperando di far dimenticare le cose.

 

 

 

Antonio Gramsci, Come cambia il linguaggio (La fortuna delle parole), 10 febbraio 1918

(in Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, chiarelettere, 2011, p. 94-96)

 

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