La vittoria della montagna (E. Camanni)
Sul confine che separava il Regno d’Italia dall’Impero austro-ungarico, bisognava innanzi tutto pensare a sopravvivere, poi a difendersi, infine ad attaccare. La sbandierata vittoria restò sempre un’operazione teorica e velleitaria sulle Alpi, dove si combatteva una guerra nella guerra, isolati dal mondo e dalla civiltà, e anche dall’informazione. In alta montagna, su pareti a picco e con inverni a trenta gradi sotto zero, l’alba del nuovo giorno era già una vittoria.
Nel quadro complessivo della Prima guerra mondiale la Guerra Bianca passò come una specie di conflitto necessario, variante bizzarro e indecifrabile della Grande Guerra; ancora oggi, nonostante la monumentale pubblicistica a riguardo, si stenta a capire che i soldati italiani combatterono per tre anni arrampicati su un fronte funambolico, più simile all’allucinazione di un folle che al calcolo di un stratega. “Anche l’Italia ha la sua Grande Muraglia, e non lo sa – ha scritto Paolo Rumiz -. Ignora di possedere l’unico fronte di montagna d’Europa, un balcone scolpito su nevi eterne, monoliti di dolomia, fiumi e strapiombi. Un monumento che non ha la tristezza fangosa della Polonia o della Francia del Nord, e non ha niente a che fare con l’onda lunga delle steppe oltre i Carpazi. Il nostro fronte non si misura in lunghezza, ma in altezza.”
Enrico Camanni, Il fuoco e il gelo. La Grande Guerra sulle montagne, Laterza, 2014, p. XX