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Pubblicato da il 23 Nov 2015 in Storia | 0 Commenti

Le due ricorrenze, 4 novembre 2018 e 10 settembre 2019, e la “follia dei confini” (S. Vassalli)

Le due ricorrenze, 4 novembre 2018 e 10 settembre 2019, e la “follia dei confini” (S. Vassalli)

 

Le due ricorrenze a cui intendo riferirmi sono i cento anni dalla fine della Prima guerra mondiale: la “Grande Guerra”, e i cento anni dal trattato di pace tra Italia e Austria, che venne firmato dopo dieci mesi a St. Germain-en-Laye. Le due date saranno, rispettivamente, il 4 novembre 2018 e il 10 settembre 2019.

Il 4 novembre, in Italia, è stato a lungo e sarà ancora nel 2018, l’“anniversario della vittoria”. Una data lieta: e mentre scrivo queste parole mi sembra di sentir risuonare, attraverso i secoli, la risata del grande Erasmo, perché di lieto in quella data c’era davvero poco. C’era, questo sì, la fine di un incubo che per quattro anni in Italia, e per quasi cinque sugli altri fronti aveva tenuti inchiodati nelle trincee milioni di uomini, facendo milioni di morti e decine di milioni di mutilati, di invalidi, di “scemi di guerra”. (Un’espressione che nel nostro Paese era destinata a diventare proverbiale, per indicare i molti che avevano perso il senno in seguito agli spaventi e allo stress della vita in trincea.)

Non parlerò, qui, della Prima guerra mondiale. Di una guerra, cioè, che rappresentò l’inizio del declino dell’Europa nel mondo e che non finì affatto con gli armistizi del 1918 e con i successivi trattati di pace, ma finì soltanto nel 1945 con l’entrata dei russi a Berlino e con le bombe atomiche americane su Hiroschima e Nagasaki. Basterà che io dica, per ciò che intendo raccontare, che la cosiddetta Prima guerra mondiale con le sue trincee, i suoi assaliti all’arma bianca e i suoi gas asfissianti fu la grande levatrice delle tre specifiche follie del Novecento, il fascismo, il nazismo e il “socialismo reale”, cioè lo stalinismo.

In Italia la Grande Guerra era stata voluta e poi era stata vissuta dalla maggior parte della popolazione come l’ultima delle guerre di indipendenza, quella che doveva portare al compimento dell’unità nazionale. Aveva tenuto impegnati per anni milioni di uomini tra il Friuli, il Veneto e il fronte alpino; aveva causato più di seicentomila morti e un numero più grande di invalidi; si era combattuta per Trento e Trieste, non certo per Bolzano. Nonostante ciò, quando dopo dieci mesi dalla fine delle ostilità si arrivò alla firma del trattato di pace con l’Austria (ed eccoci alla nostra seconda ricorrenza) il confine settentrionale del nostro Paese fu fissato seguendo la linea geografica dello spartiacque delle Alpi, al Brennero, e non come avrebbe voluto l’allora presidente americano Thomas Woodrow Wilson seguendo il principio di nazionalità. Perché?

Diciamo subito che quella scelta era abbastanza prevedibile e che, allora, non rappresentò uno scandalo. Non è lì che incomincia la follia che sarà il filo conduttore delle nostra storia. La follia dei confini. I Quattordici punti di Wilson, pubblicati l’8 gennaio 1918, rappresentavano dei princìpi giusti ma astratti, che in una realtà antica e tormentata come quella europea non sempre potevano essere seguiti nell’applicazione pratica. Il confine più sicuro, per l’Italia, era quello geografico; e sarebbe stato difficile per l’Austria pretendere che si tracciassero i confini secondo quel principio di nazionalità di cui l’Impero autro-ungarico era stato, in Europa, il principale avversario. L’Austria che con il trattato di St. Germain perdeva duecentomila dei propri cittadini, aveva avuto per moltissimi anni i suoi confini in Italia, addirittura al Ticino e al Po; e la sua dominazione in territorio italiano, pur avendo avuto qualche spunto positivo, soprattutto nel Settecento, non era poi stata così entusiasmante come qualcuno oggi vorrebbe far credere. C’erano state cospirazioni e sommosse a Milano, a Venezia, a Brescia, che erano state represse nel sangue. Si erano combattute delle guerre, e mai il governo di Vienna aveva mostrato di voler anticipare, con la propria politica, i nobili ideali dei Quattordici punti di Wilson. Perché, ora che aveva la possibilità di stabilire fra sé e l’Austria un confine più facilmente difendibile e migliore per il passato, L’Italia avrebbe dovuto rinunciarvi?

In conclusione: la scelta di portare il confine al Brennero forse non fu idealistica né altruistica ma fu certamente, per quegli anni, una scelta in qualche modo logica e prevista anche dalla controparte austriaca. Forse nelle valli alpine, dove la guerra non aveva fatto in tempo ad arrivare, non si prevedeva che le cose potessero andare in quel modo; ma a Vienna certamente sì.

Sebastiano Vassalli, Il confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia, Rizzoli, 2015, p. 12-17

(* foto in evidenza: particolare del “Monumento alla Vittoria” di Bolzano)

 

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