Le montagne della patria: un libro di M. Armiero (D. Bidussa)
Con la Prima guerra mondiale la montagna diviene la patria. Assunta la trincea come il simbolo stesso della Prima guerra mondiale (non a caso, del resto un aspetto centrale nei programmi culturali promossi dalla presidenza del Consiglio in occasione del centenario della Prima guerra mondiale che sta per aprirsi) la montagna si configura come la barriera naturale da difendere ad ogni costo dalla possibile offensiva del nemico.
In quell’occasione si costruisce una memoria nazionale che il fascismo in parte farà propria e con cui, in parte, configgerà. La montagna sarà da una parte l’occasione per esaltare il carattere della gente di montagna (resistente e combattente) contro la frivolezza urbana (una variante della cultura antimodernista di “Strapaese” cui si origina il mito dell’Alpino come soldato tenace, ligio alla patria). Dall’altra parte il fascismo guarderà alla montagna come un territorio che va domato, governato (e dunque trasformato) e non solo protetto o conservato.
Se la Prima guerra mondiale ha trasformato in modo permanente i paesaggi e le popolazioni, nazionalizzando entrambi, il fascismo al potere, politicizza le montagne sfruttandole sia retoricamente sia materialmente: da un lato celebrando il ruralismo e le popolazioni locali, dall’altro offrendo le risorse montane alle grandi società idroelettriche.
David Bidussa, Gente e simboli ad alta quota, recensione a Marco Armiero, Le montagne della patria. Natura e nazione nella storia d’Italia. Secoli XIX e XX, Einaudi, 2013,
in “Il Sole 24 ore”, 7.7.2013, p. 38