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Pubblicato da il 11 Apr 2015 in Chiesa | 0 Commenti

Le preghiere del nazional-patriottismo: Padre Gemelli al fronte (A. M. Banti)

 

Sul recto di un santino stampato a Milano con l’imprimatur del vicario generale della diocesi, Giovani Rossi, si vede l’immagine di un Cristo che accompagna un fante verso un fronte montano, mentre sul verso si legge questa Preghiera del soldato:

Gesù buono t’addita il Calvario: ti ricorda, o giovane, ch’Egli a compiere la sua missione divina, non fuggiva il sacrificio di sé, ma accettava generoso ogni dolore perché non la sua ma bensì si adempisse la volontà del suo Divin Padre. Quale sacrificio!… qual morte atroce! Ma Cristo pregò, vinse la morte, diede la vita, la libertà, la felicità agli uomini redenti”.

Gesù dolcissimo, accetto la tua Santa volontà. Nella voce della patria adoro la voce di Dio. Non ricuso la fatica, gli stenti; affronterò la morte stessa se questa è la prova della mia fedeltà. Ch’io, Gesù, ti possa imitare, compiendo colla tua grazia con qualunque sacrificio, fosse pur della vita, tutto il mio dovere.

Gesù buono sorga dal mio e comune sacrificio col tuo aiuto una patria più bella, più buona, più cristiana. Liberi per l’armi nostre, sul bel suolo d’Italia s’espanda la tua fede, la tua santa legge di carità e d’amore per cui si dia la tranquillità e la rassegnazione alle nostre famiglie, il soccorso generoso agli orfani, la difesa della minacciata virtù.

Per tanto bene salirò con Te il Calvario, in attesa della corona che hai promesso al soldato fedele.

Argomentazioni e figure di questo genere campeggiano anche nell’elaborazione e nell’azione pastorale di uno degli ecclesiastici più in vista in questi e negli anni seguenti, padre Agostino Gemelli, medico e psicologo francescano, che dopo la guerra sarebbe stato tra i fondatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ma prima c’è l’esperienza della guerra che anche Gemelli – come altri altri ecclesiastici e ferventi cattolici – considera un’occasione importante da sfruttare affinché la Chiesa cattolica possa imporre nuovamente una sua centralità etica nella società italiana. Tuttavia anche per Gemelli, come per numerosi altri, la strada scelta per la realizzazione di questa strategia passa attraverso un’assimilazione dei valori e dei simboli del nazional-patriottismo che nel suo caso si spinge tanto avanti da suscitare preoccupate reazioni nelle più alte gerarchie della Chiesa. Si ascolti, per esempio, ciò che Gemelli scrive a tre mesi dall’ingresso dell’Italia in guerra:

Come finirà questa guerra? soprattutto, quando finirà?

Molto semplicemente; la guerra attuale sarà lunga, e finirà il giorno in cui tutti gli alleati, tutti insieme, avranno costretto il loro terribile nemico a non esser più capace di respirare, a non avere più la forza di muovere un braccio! (…)

Il paese deve alimentare, nutrire la vita dell’esercito, deve fabbricare montagne di proiettili, deve rinnovare gli uomini combattenti, deve vivere esclusivamente per gettarsi tutto contro il nemico ed esercitare contro di lui quella pressione che gli spetta di esercitare nel gioco comune degli avversari.

I suoi nervi debbono essere tesi per questo, il suo cuore deve battere per questo, il suo cervello lavorare per questo, la sua anima pregare e soffrire per questo.

Dunque? La guerra sarà lunga; non possiamo, non dobbiamo parlare della sua fine, ma dobbiamo attenderla dalla nostra resistenza; essa finirà il giorno in cui il nostro Re detterà le condizioni di pace all’eterno nemico d’Italia e gli avrà strappato unghie, becco, ali. (….)

I tedeschi hanno la testa dura ed il cuore floscio. Incapaci di battersi in quelle forme di combattimento, in cui occorre il cuore valido, ci hanno imposto la guerra vile, nella quale vince la testardaggine. Essi contano sulla mutevolezza del nostro carattere, sulla nostra esauribilità psichica, sulla nostra incostanza. È necessario adunque che diventiamo duri e testardi come loro.

Essi si illudono di stancarci, per venire a riposarsi, dopo lo sforzo enorme, nel giardino d’Europa, nella nostra Italia. Se noi vogliamo che la magnifica resistenza del nostro esercito non si esaurisca, noi dobbiamo metterci dentro di esso, sostenerlo, sorreggerlo, vivere esclusivamente per esso e con esso. Dobbiamo esser pronti a nutrirci di pane e cipolle, pur di essere capaci di sconfiggere il tedesco dalla testa dura e dal cuore grasso di birra.

Gli accesi toni nazionalistici, insoliti, in effetti, per un ecclesiastico, trovano in altri interventi una via più consueta, che è quella della riflessione sul significato del sacrificio, estrapolato da un confronto – anche questo più che classico – tra la sofferenza di Cristo e il martirio dei soldati:

Ho detto che la guerra è divina. Con ciò non intendo enunciare un paradosso. Io intendo dire soltanto che l’effusione del sangue umano, per opera della guerra, nelle terribili lotte dei popoli, ha un valore speciale, per il quale esso coopera al governo divino del mondo. Lo spargimento di tanto sangue innocente è una forma di espiazione della colpa del genere umano, espiazione che ha valore di rigenerare non solo gli individui, ma anche le nazioni. (…) Alle meraviglie della conversione si aggiungono i nobili esempi dei buoni. (…)

Di fronte ad un simile spettacolo, il cristiano non può restare in dubbio un solo istante. In queste conversioni, in queste espiazioni, vi è il dito di Dio. Di fronte a questi esempi, chi mai può credere che coloro che hanno dato volontariamente il proprio sangue, lo abbiamo versato invano? chi può dubitare che la guerra è divina nei suoi effetti’? (…)

Per Crucem, ad lucem; per la via della Croce alla salvezza e alla luce. Prova adunque terribile e sanguinosa, ma prova divina. Così all’occhio del cristiano la guerra si illumina di miglior luce. Il cristiano può combattere la guerra senza ledere il precetto divino e fondamentale dell’amore del prossimo, perché egli pugna per il buon diritto. Il cristiano accetta la guerra con animo sereno, perché vede in essa un castigo salutare per le sue colpe. Il cristiano anziché abbattersi trova in questa prova nuova forza, perché la guerra nobilita e rigenera le nazioni. Per queste ragioni egli benedice Iddio che governa il mondo. Che deve fare il popolo italiano? Il popolo italiano deve vedere nella calamità della guerra non solo la rivendicazione di un giusto diritto, ma ben più la prova per permessa da Dio per la sua rigenerazione, per un’Italia più degna della sua storia, delle sue tradizioni, per un’Italia più cristiana.

(* per i due brani di Gemelli: A. Gemelli, Quanto durerà la guerra attuale?, in “Vita e Pensiero”, a. I, vol. II, fasc. 2, 20 agosto 1915, pp. 81-82 e a. I, vol. II., fasc. 4, 20 ottobre 1915, pp. 212-217, cit. in S. Lesti, “In Hoc Signo Vinces”. Padre Gemelli e la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore nella Grande Guerra (1916-1918), tesi di laurea specialistica in Storia e civiltà, Università di Pisa, a.a. 2007-2008, pp. 135-136 e p. 100)

Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, 2011, p. 128-130

 

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