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Pubblicato da il 23 Mar 2018 in Storia | 0 Commenti

Le spese di guerra: la corruzione statale e il danno ai cittadini (M. Simoncelli)

Le spese di guerra: la corruzione statale e il danno ai cittadini (M. Simoncelli)

 

* Ringraziamo il prof. Maurizio Simoncelli per l’invio di questo contributo per il sito.

La Redazione

In occasione dei cento anni dalla prima guerra mondiale, in Italia più celebrata che analizzata, non ha trovato spazio un’importante vicenda ai più sconosciuta e collegata proprio al sanguinoso conflitto, seppur cronologicamente successiva.

Giovanni Giolitti nel suo discorso del 12 ottobre 1919 a Dronero, richiedeva di accertare “le responsabilità politiche relative alle origini e alla condotta diplomatica della guerra”, in polemica con Salandra e l’interventismo del 1914-15, attraverso il quale una minoranza politica portò il paese in guerra. Molto si era parlato degli arricchimenti illeciti e dell’assenza di controllo statale.

Pertanto fu costituita una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra fu istituita nel luglio 1920 (composta da 15 senatori ed altrettanti deputati, con sede principale a Roma e uffici distaccati a Torino, Genova, Milano, Napoli) che si organizzò in sei sottocommissioni, coadiuvata da funzionari statali, per la maggioranza provenienti dalla magistratura. Essa aveva i poteri attribuiti dal codice di procedura penale al magistrato inquirente (citare testimoni, eseguire ispezioni, sequestrare documenti, ecc.). Dovette concludere forzatamente i suoi lavori dopo poco più di due anni, nel dicembre 1922, presentando nel febbraio del 1923 al governo una relazione di circa 1.500 pagine.

La salita al potere di Mussolini, che ne interruppe i lavori e avocò autoritariamente a sé gli atti (che sarebbero dovuti essere presentati al Parlamento e non al governo), pose la parola fine all’indagine.

La Commissione si trovò di fronte ad un lavoro enorme che andava dalla revisione dei conti dello Stato in relazione alle spese di guerra sino alle indagini sui numerosissimi contratti stipulati, dagli interrogatori di uno stuolo di diversi soggetti (funzionari pubblici, militari, industriali, commercianti, ecc.) all’analisi del funzionamento della macchina dello Stato, sia nel periodo di guerra sia nella fase di smobilitazione successiva, rivedendo pure tutto il lavoro svolto dal Comitato interministeriale per la sistemazione delle industrie di guerra, che in un anno, aveva sistemato quasi 5.000 commesse belliche per un totale di circa dieci miliardi di lire, sollevando critiche di non oculata amministrazione dei beni pubblici e di eccessiva prodigalità da parte dello Stato.

Nel corso dei suoi lavori si trovò ad affrontare forti resistenze anche da parte delle strutture statali, dovute anche ma non solo alla disorganizzazione della macchina amministrativa. Basta pensare alla semplice difficoltà di censire le Commissioni pubbliche attivate durante il conflitto che risultavano circa un centinaio, senza però considerare i ministeri militari. Nella Relazione finale della Commissione d’inchiesta ricorre sempre la questione della carenza di documentazione e della mancanza diffusa di collaborazione, nonché dell’interruzione dei lavori che troncarono molte indagini avviate. “L’inchiesta non è terminata – affermarono i commissari Treves, Albertelli, Romita e Merizzi – rimanendo ancora a controllare una rilevante parte dei contratti e dell’azione svolta dall’amministrazione durante la guerra...”.

Dato che lo Stato aveva emanato una norma che attribuiva a se stesso un potere contrattuale prevalente (definendo i prezzi) rispetto alle imprese fornitrici, queste calcolavano i prezzi al massimo possibile, provocando di fatto un danno all’erario pubblico. Poi si attivarono delle apposite Commissioni di revisioni prezzi, autorizzando a derogare dalle norme e dai regolamenti di contabilità generale dapprima solo i Ministeri militari, poi anche gli altri. E’ comprensibile il caos conseguente in una situazione di emergenza come quella del conflitto in corso. Il risultato di queste norme contraddittorie portò alle cosiddette “gestioni fuori bilancio” e ad una diffusa cattiva conduzione in tutti i settori della pubblica amministrazione, fatta forse eccezione per quella della Regia Marina. Dalla Relazione emerge inoltre una macchina dello Stato fortemente disorganizzata e scoordinata, al punto che un ufficio non sapeva quello che faceva l’altro accanto, sia nel campo delle armi e munizioni sia in tutti gli altri settori.

La Commissione tentò anche di definire i costi globali della guerra, compito oltremodo difficile anche perché avrebbero dovuto essere considerate, ad esempio, anche le pensioni d’invalidità, la risoluzione giudiziari dei contenziosi, la revisione di tutti i rendiconti ecc. Essa utilizzò i calcoli fatti dalla Ragioneria Generale dello Stato, che erano relativi a spese accertate. Nella relazione finale a stampa (nella quale appunto viene contabilizzato anche il bilancio 1922-23) s’indica la cifra di 158,2 miliardi di lire, mettendo contemporaneamente in evidenza il fatto della diffusa contraddittorietà dei dati forniti.

Se la macchina amministrativa aveva mal funzionato, la corruzione aveva potuto prolificarvi, al punto che numerosi scandali portarono il 14 maggio 1918 lo stesso generale Dallolio alle dimissioni da ministro per le Armi e Munizioni. Questo fenomeno coinvolse pubblici funzionari (civili e militari) con imprese private, mediante forniture sovrapagate rispetto ai prezzi di mercato, attraverso materiali dello Stato venduti a privati a prezzo eccessivamente basso, con forniture peggiori di quelle contrattate con l’Amministrazione pubblica. Di qui si sono avuti armamenti difettosi, vestiario inadeguato, rapporti impropri tra militari ed imprese, liquidazioni di materiali in epoca postbellica elargite a prezzi irrisori, “sussidi alle famiglie dei richiamati” (ben oltre cinque miliardi di lire) in larga parte utilizzati a scopi clientelari, acquisti all’estero avvenuti sotto l’influenza di organizzazioni criminali italoamericane e così via: questo è quanto emerge dall’indagine parlamentare.

Un caso particolare fu quello dell’Aeronautica, arma nata proprio in concomitanza con la guerra e che risentì di questo suo tumultuoso processo formativo. La rapida crescita – praticamente da zero – avvenne grazie all’impegno dei diversi organi preposti che aiutarono la creazione di numerose aziende, con finanziamenti e mettendo a disposizione personale altamente qualificato come consulente. Ciò portò però anche a scandali, rapporti non limpidi tra militari e industriali, spreco di denaro pubblico ecc., che furono oggetto di diverse inchieste già durante il conflitto.

Per questo si nominò il repubblicano on. Chiesa a Commissario Generale per l’Aeronautica, che nel tentativo di ristrutturare il settore comunque disarticolò quanto emergenzialmente già attivato con risultati negativi. Esemplare fu la vicenda del programma di ordinativi per la fabbricazione di apparecchi Caproni Ca 5, dato che le 23 ditte incaricate della produzione dei 4.015 aerei Caproni e dei relativi 12.700 motori avevano consegnato a fine guerra solo 130 apparecchi e 1.360 motori, a fronte di esborsi già anticipati per £ 200 milioni (rispetto ad una spesa complessiva di 711 milioni). E’ esemplare in tal senso anche la vicenda della velivolina (prodotti chimici per tela di aerei) con aziende create dal nulla, lautamente pagate e con anticipi rilevanti, che a fine conflitto non avevano prodotto praticamente nulla. Insomma già allora si parlò di industrializzazione della DTAM (la Direzione dell’Aeronautica Militare), termine che il presidente Eisenhower dopo la seconda guerra mondiale nel 1961 definì complesso militare-industriale riferendosi alla realtà statunitense.

In conclusione, se le esigenze impellenti misero sotto stress l’amministrazione pubblica, essa dimostrò di non essere all’altezza evidenziando da un lato una disorganizzazione rilevante (dovuta anche a normative inadeguate e contraddittorie), dall’altro una diffusa corruzione sia tra i dipendenti pubblici sia tra i privati. La Commissione, nel breve tempo avuto a disposizione, lavorò con estremo impegno e senza riguardi, come viene attestato dai verbali d’interrogatorio di alti ufficiali delle forze armate, dirigenti statali, grandi imprenditori, finanzieri, uomini politici. Il nuovo clima politico dopo la marcia su Roma mutava profondamente gli equilibri e gli interessi, al punto che la Relazione – seppur incompleta per i motivi accennati e di fatto moderati nei toni rispetto alle responsabilità individuate – non suscitò particolari reazioni, lasciando poi spazio solo alla retorica fascista e postfascista della Grande Guerra. Uno studio approfondito dei lavori della Commissione è avvenuto solo 80 anni dopo a cura dell’Archivio Storico della Camera dei Deputati e pubblicato con il titolo Le carte del fondo della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle spese di guerra (1920-1922), nel 2002.

Maurizio Simoncelli

mde

 

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