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Pubblicato da il 9 Ago 2014 in Storia | 0 Commenti

Monte Piana – Museo Grande Guerra, Lavaredo – Dolomiti

Monte Piana – Museo Grande Guerra, Lavaredo – Dolomiti

monte pana

La visita all’interessante Museo all’aperto della Grande Guerra nelle Dolomiti al monte Piana (o Piano, come veniva chiamato per l’evidente conformazione) è fortemente raccomandata e permette di conoscere gli aspetti umani di come vennero condotte le operazioni belliche in alta montagna.

Probabilmente il luogo più facile e frequentato per chi desidera approfondire episodi della grande guerra nelle Dolomiti.

E’ anche l’occasione per camminare sul vasto pianoro di una imponente cima dolomitica a 2300 metri di quota, pianoro circondato da grandi pareti strapiombanti, e godere di un panorama mozzafiato sul settore settentrionale delle Dolomiti, in particolare luogo privilegiato per ammirare le Tre Cime di Lavaredo.

E’ una bella passeggiata che si affronta dal rifugio “maggiore Angelo Bosi” al quale conviene salire con la Jeep-Navetta, in questo modo si può dedicare maggior tempo alla visita, con estrema calma, ai vari resti di trincee e appostamenti, e ovviamente inebriarsi di tanta meraviglia paesaggistica.

E concedersi, possibilmente solitari, momenti di riflessione e meditazione. Sulla guerra, sull’eroismo umano, sui sacrifici bestiali, sulle meraviglie della natura, su quella sagoma monumentale delle Tre Cime di Lavaredo, sulla dolcezza di quel tappeto erboso un tempo ricco pascolo di pecore, devastato da assurdi lavori militari, concimato con il sangue.

Il percorso di visita è facile, vi sono numerose tracce di sentieri, ma non un sentiero obbligato.

Per i temerari in cerca di emozioni vi è la possibilità di percorrere un sentiero per esperti che si protende sulle postazioni più esposte sul margine di vertiginose pareti, sentiero in parte attrezzato con cordino metallico (ferrata).

I due punti simbolo che uniscono i due colmi di cima sono la Croce vicina all’Osservatorio Italiano e la Croce di Dobbiaco, spettacolare luogo panoramico verso la val di Landro, con il laghetto di Landro e Dobbiaco.

Sostanzialmente la cima è un vasto altipiano gobboso, che si estende in lunghezza per circa 2 chilometri, diviso a metà da una depressione, un colletto denominato ‘Forcella dei Castrati’ (f.lla de i Castrade).

A questa quota non vi è vegetazione arborea, ma prateria d’alta montagna con spettacolari fioriture.

Naturalmente la quota richiede un approccio consapevole: indumenti per l’eventuale freddo e vento, cappello per il sole, creme solari, abbigliamento e scarpe adatte sono necessari. Il monte Piana è il paradigma dell’assurdità della guerra condotta tra queste montagne.

E, a maggior ragione, il paradigma dell’inutilità stessa della guerra.

Innanzitutto una guerra combattuta da uomini che, quasi tutti, non sapevano nemmeno perché e per chi stavano massacrandosi. Uomini che parlavano la stessa lingua e provenivano da paesi vicini.

All’inizio delle operazioni belliche i combattenti erano Tirolesi, Ampezzani e Cadorini, con l’unica sfortuna di trovarsi lungo un confine che, popolarmente, confine non era mai stato, se non campanilismo e tuttavia soprattutto luogo di scambio e di affari, di osmosi culturali.

Divenne confine dell’Italietta sabauda che pomposamente, ma in realtà miseramente, ambiva all’Unità d’Italia e che tradiva quell’alleato che pur di non entrare in guerra le aveva offerto il “Saliente Trentino”. Guerra tra parenti e affiliati massoni, con l’impero Austro-Ungarico già alle strette, che già aveva perduto molti dei migliori soldati tra le praterie della grande Russia.

Illusione di una facile vittoria e di ampie annessioni territoriali, finita con massacri di uomini e vittoria di nessuno.

Qui si combatteva tra montagne dove non c’era niente da conquistare, con la beffa che i generali italiani non ebbero nemmeno il coraggio di spingersi con decisione oltre il confine verso Dobbiaco, dove avrebbero trovato solamente alcune decine di gendarmi doganali a sbarrare la strada di un confine praticamente sguarnito. Si accontentarono di ‘liberare’ Cortina d’Ampezzo.

Gli alti gradi Austriaci, ovviamente, non poterono tollerare tale voltagabbana e fuoco di paglia, posizionarono uomini di montagna sulle montagne e, specie al monte Piana, fecero un gran spolverone, soprattutto in funzione diversiva del fronte del Carso, dove puntualmente diedero la spallata di Caporetto.

Ciò nonostante la guerra per gli imperiali era già persa, lo dimostra il fatto che non insistettero oltre il Piave, sebbene non vi fossero praticamente più ostacoli italiani. Non avevano le forze e soprattutto nessuna voglia, ne interesse, di accapparrarsi l’Italia…

Ci resta il rispetto, l’onore, per i combattenti, senza alcuna distinzione di schieramento. E la voglia di capire dal vero gli avvenimenti, anche per capire quanta retorica è stata concimata di sangue innocente. Con i se e i ma non si fa la storia, sono passati cent’anni e sarebbe l’ora di leggere questa storia con più obiettività sgravandola dalle tante bugie che ci hanno fin qui raccontato,

monte piana 3

* tratto dal sito “Magico veneto”

 

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