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Pubblicato da il 25 Mar 2015 in Letture | 0 Commenti

“Non abbiamo imparato niente” (P. Rumiz)

“Non abbiamo imparato niente” (P. Rumiz)

Caro nonno Ferruccio,

(…).

Prima ti ho fatto ridere, con quella storia del rancio e delle latrine. Ma ora dovrei dirti un po’ di cose serie. Per esempio che la mia Europa sta perdendo l’anima. Che l’Unione che la rappresenta non è riuscita a dare una lettura sinfonica di quella tua Prima guerra nel segno della pietà. Che ogni miserabile nazione rievoca quell’evento per conto suo. Dovessi dirte che semo pieni de ladri. Che voi ve mazavi per una trincea e ogi noi se mazemo per un parchegio. Dovrei raccontarti che siamo più analfabeti, più cretini, nevrotici, arroganti, ridicoli, omologati di voi.

A Parigi ho visto la Gare de l’est, oggi. Da lì i francesi sono partiti per tre volte contro lo stesso nemico. Oggi vi si celebra la pace. Annunci ferroviari in tedesco e vendita di bretzel accanto alle baguette. Ma poi…. poi ti accorgi che è solo coreografia, che la memoria della catastrofe è spenta, e che nessuno guarda il grande dipinto che la commemora nell’atrio. Nella Gare de l’Est capisci che non si combatte più con le armi solo perché alla guerra fra nazioni si è sostituita una guerra fra individui, un marasma di turisti smarriti, donne in carriera, impiegati in camicia, funzionari irascibili, giovani digitali, immigrati attaccabrighe, ladri e poliziotti armati fino ai denti.

In Belgio non sono bastate due invasioni tedesche a compattare l’anima fiamminga e quella francofona del paese. Dalle parti di Ypres, il confine millimetrico fra le due lingue, le due burocrazie, le due mentalità, è cento volte più visibile della linea del fronte del ’14.

Roba da uscir di testa, non abbiamo imparato niente. In Catalogna sono impazziti tutti, peggio dei balcanici. Barcellona pare Belgrado o Zagabria alla vigilia della guerra del ’91. Questi signori portano allegramente l’Unione allo sfascio in nome dell’identità.

Mi ero proposto di spiegarti tutte queste cose, ma non ho più voglia di prendere il mondo sul serio.

Nonna Alida s’arrabbiava a sentir dire “Grande guerra”, ma io credo che in una cosa quel conflitto fu grande, anzi enorme. La capacità espressa dagli uomini del tuo tempo di resistere all’annichilimento. Guardo le foto e vedo individui, vite scolpite nelle rughe. Oggi vedo facce di plastica di una massa imbottita di anestetici. Cristo santo, voi almeno savevi rider, cantar, sperar. Oggi c’è solo rumore, e dietro il rumore, il silenzio del nulla. Le guerre del tuo secolo hanno piegato il mondo, ma la pace che ne è seguita gli ha dato il colpo di grazia. Non c’è niente di paragonabile alla ferocia con cui le nazioni si sono avventate sul mondo dopo il 1945.

Paolo Rumiz, Come cavalli che dormono in piedi, Feltrinelli, 2014, p. 254-255

 

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