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Pubblicato da il 16 Nov 2021 in Obiettori | 0 Commenti

Obiezione di coscienza e Prima guerra mondiale (A. Filippini)

Obiezione di coscienza e Prima guerra mondiale (A. Filippini)

(…)

  1. Le vicende personali dei pionieri dell’obiezione di coscienza

 

Alla chiamata per la Grande guerra solo una manciata di reclute si rifiutò di sottostare a quella imposizione. Le loro esperienze hanno pesi specifici differenti ma testimoniano la grande forza morale che la coscienza può infondere anche a un uomo comune[23].

Lo scultore lodigiano Ettore Archinti fin dalla giovinezza mostrò una particolare sensibilità verso i temi dell’uguaglianza sociale e dei diritti umani. S’appassionò presto alle teorie della nonviolenza e della fratellanza universale. Il 25 maggio 1915 non si presentò in caserma per l’arruolamento. Il 6 luglio 1915 fu processato dal Tribunale Militare di Milano. Fu dichiarato «colpevole del reato di diserzione» e condannato «a tre mesi di carcere militare», una pena mite a motivo dell’applicazione delle attenuanti per avere agito «con minorata coscienza», perché completamente pervaso «dalle teorie socialiste ed umanitarie»[24].

Il pittore imolese Amleto Montevecchi, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, si dichiarò «contrario a tutte le guerre». Scrisse che «i socialisti – internazionalisti per antonomasia – dovrebbero rifiutarsi di partecipare a qualsiasi guerra». Spiegò che «l’antimilitarismo pratico dovrebbe basarsi sulla renitenza», e aggiunse: «Chi uccide comunque compie un crimine […] La guerra è un crimine collettivo. L’omicidio legale che trasforma l’uomo normale in delinquente». Quando nel 1916 rispose alla chiamata alle armi e gli fu porto un fucile, disse: «Con un pennello posso sparare, con questo arnese mi è impossibile»[25]. Scampò all’arresto per disobbedienza agli ordini e ai conseguenti procedimenti disciplinari solo perché i superiori furono accomodanti e gli affidarono compiti che non confliggevano con la sua coscienza.

Il fisarmonicista Giovanni Gagliardi, di Castelvetro Piacentino, anch’egli con posizioni anarco-socialiste, vergò il proprio pensiero antimilitarista in un libretto rimasto inedito:

La guerra vale la vita e la morte: la morte, piuttosto che collaborarvi; la vita, per lavorare accanitamente onde farla scomparire. Io non ucciderò. Ogni popolo, che abbia una storia, ha sempre due pagine diverse: una di difesa ed una di conquista. Ma le due pagine si fondono in una sola: ché lo spirito di conservazione o di difesa lascia tosto il posto allo spirito di rapina e d’aggressione appena il pericolo di perdere ciò che si possiede sia scomparso […] Né la lega tra le nazioni, né il disarmo, né le organizzazioni socialiste, né il papa, né Dio potranno por fine alle guerre. La soluzione sta solo nella coscienza dell’individuo decisamente compenetrata dall’imperativo categorico: “Non uccidere”[26].

Il 15 luglio 1916 fu dichiarato disertore. Non solo non s’era presentato alla chiamata ma aveva addirittura scritto una missiva al Distretto militare di Piacenza «ricusando di adempiere al suo dovere verso la Patria per non venire meno alle sue idee socialiste-pacifiste e polemizzando sulla necessità, sui fini e sulla opportunità della guerra»[27]. Nel 1950 il Gagliardi, ripensando alle motivazioni delle proprie scelte, ammise d’essere stato «un socialista internazionalista pacifista, se si vuole alla Tolstoj, del quale non mi erano ignoti una parte dei suoi scritti»[28]. Il suo percorso di obiettore implicò «l’internamento, per circa 400 giorni, presso gli ospedali psichiatrici di Piacenza, Reggio Emilia e Roma»[29].

Luigi Luè, uno zoccolaio di San Colombano al Lambro (Mi), di idee socialiste, nel decennio precedente la Grande guerra si abbeverò alla fonte tolstojana. Richiamato nell’esercito, rifiutò d’indossare la divisa. Venne deferito al Tribunale Militare di Milano e condannato a sette anni. Il Luè ricorda: «Rivolsi il pensiero al Cristo del Tolstoi e accettai la sfida e seguii il mio destino»[30]. A chi lo interrogava spiegava che sulla base delle sue convinzioni sui «principii dai Libri di Leone Tolstoi, la [sua] coscienza [gli] vietava di uccidere»[31].

Il valdese Alberto Long, di Pramolo di Torre Pellice, durante la giovinezza maturò la decisione di aderire al messaggio della Chiesa avventista. Lo studio delle Sacre Scritture lo portò alla convinzione di poter servire la patria ma mai usando le armi. «Al fronte, in prima linea sì, ma io non sparerò mai un colpo contro un essere umano», dichiarò. Durante le procedure di arruolamento spiegò di non voler combattere e chiese di fare l’infermiere[32]. Le autorità militari non si mostrarono affatto indulgenti. Lo arrestarono, lo maltrattarono e lo picchiarono. Fu condannato a tre anni di reclusione con sospensione della pena[33]. Nell’ottobre 1918 venne nuovamente processato e condannato a 25 anni di reclusione, pena che scontò solo parzialmente a motivo di un’amnistia[34]. Riflettendo retrospettivamente sulla propria vicenda, Alberto Long ebbe a dire: «Era impossibile per me avere due nature diverse: amare a tal punto il mio prossimo da dare la vita per lui, e odiarlo a tal punto da ucciderlo»[35].

Anche Guido Plavan, membro della Chiesa dei fratelli di Luserna, determinò d’accettare l’arruolamento ma si rifiutò sempre di usare le armi. «Al momento degli assalti alla baionetta, usciva con gli altri dalla trincea ma senza il fucile»[36]. Una sera uscì di pattuglia senza il fucile e al suo tenente, che gli chiese conto del fatto, disse: «Dio dice di non uccidere, così io non porto il fucile e non uccido»[37]. La minaccia di un deferimento al Tribunale militare non gli fece cambiare idea. Fortunatamente i suoi superiori furono comprensivi e non lo denunciarono[38]. A differenza d’altri, non subì processi e condanne. Uno storico ha scritto di lui: “Guido è un fondamentalista e legge il sesto comandamento alla luce del Sermone del monte: il divieto di uccidere vale sempre, in ogni circostanza»[39].

L’ultimo personaggio di cui ci occupiamo è Remigio Cuminetti, di San Germano Chisone, appartenente agli Studenti Biblici Internazionali[40]. La sua obiezione di coscienza fu davvero totale. La sua vicenda balzò agli onori della cronaca il 19 luglio 1916 allorché il quotidiano torinese “La Stampa” annunciò:

L’Autorità militare di Alessandria ha posto sotto processo il soldato Cuminetti Remigio di Lazzaro, da San Germano Chisone – già collaudatore meccanico nelle Officine di Villar Perosa – per categorico, ostinato rifiuto nel prestare servizio militare[41].

Grazie allo studio della Bibbia, il Cuminetti aveva sviluppato una coscienza decisamente contraria alla guerra. Quando nel 1915 l’Italia entrò in guerra,  la fabbrica presso cui lavorava fu soggetta alla Mobilitazione Industriale[42]. Lui «rifiutò di portare il distintivo di operaio militarizzato» e «dichiarò apertamente che si sarebbe sempre rifiutato di cooperare alla fabbricazione di strumenti di guerra»[43]. Questo diede l’avvio a una vera e propria epopea. Avendo rifiutato lo status di operaio militarizzato, dovette presentarsi al distretto per l’arruolamento. Rifiutò d’indossare l’uniforme. Subì per questo una prima condanna, confermata in appello, a tre anni e due mesi di reclusione. Durante l’udienza, affermò:

La mia coscienza si ribella al pensiero di fare del male al mio prossimo. Offro la mia vita per il bene del mio prossimo, ma mai muoverò un dito per recargli del male, poiché Iddio mi dice mediante il Suo spirito di amare il prossimo e non di odiarlo[44].

Nella sentenza leggiamo che agì «spinto dalle sue speciali convinzioni di fede e di coscienza» e che motivò il rifiuto d’indossare la divisa argomentando «la fede di Cristo ha per fondamento la pace fra gli uomini e la fratellanza universale», che «Cristo aveva fatto sacrificio della sua vita per il bene, per la pace universale», e che di conseguenza lui «non poteva né doveva far male ad alcuno»[45]. Finì a Gaeta e vi rimase fino al marzo del 1917. Poi fu mandato al distretto militare per costringerlo a fare il soldato. Inutile. Durante il nuovo processo davanti al Tribunale di Guerra, Remigio Cuminetti decise di accettare «l’offerta di prestare servizio nel corpo della Sanità e di andare in trincea». Mentre soccorreva un ufficiale ferito, venne egli stesso ferito. Dopo la convalescenza, fu nuovamente mandato al fronte a combattere armi in pugno ma egli rifiutò. Finì per passare un lungo periodo in manicomio «per delirio religioso»[46].

Quelli di Remigio Cuminetti e Giovanni Gagliardi furono gli unici «due casi di medicalizzazione dell’obiezione di coscienza»[47] durante il primo conflitto mondiale di cui si abbia chiara contezza.

 

 

Note

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23 Le vicende menzionate in appresso, sono state approfondite in Andrea Filippini, L’obiezione di coscienza nell’Italia liberale (1861-1919), Tricase, Youcanprint, 2018, pp. 101-142.

24 Ercole Ongaro, No alla Grande Guerra 1915-1918, Bologna, I Libri di Emil, 2015, p. 108.

25 Edmondo Marcucci, Sotto il segno della pace, Jesi, Biblioteca Planettiana e Assessorato alla Cultura, 2004, pp. 124-125.

26 Ivi, p. 123.

27 Ongaro, No alla Grande Guerra, cit., pp. 120-121.

28 Vita romantica di Giovanni Gagliardi obbiettore di coscienza e musicista, in “La Libertà”, 9 novembre 1950.

29 Carlo Mercurelli, L’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia. Una retrospettiva storico-giuridica, in “Storia e Futuro. Rivista di Storia e Storiografia on line”, n. 41, giugno 2016.

30 Lettera di Luigi Luè a Edmondo Marcucci (Milano, 31 maggio 1951), in Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni, Roma, Donzelli, 2006, p. 12.

31 Lettera di Luigi Luè a Edmondo Marcucci (Milano, 31 maggio 1951), in Ongaro, No alla Grande Guerra, cit., p. 115.

32 Rolando Rizzo, ‘Serrate le fila, serrate le fila…’, Falciani-Impruneta, Edizioni ADV, 1995, p. 13.

33 Foglio matricolare n. 13700-646 a nome di Long Michele Albert. Un ricercatore me ne ha fornito copia ma ignoro l’ubicazione dell’originale.

34 Ongaro, No alla Grande Guerra, cit., p. 125.

35 Rizzo, Serrate le fila, serrate le fila…’, cit., p. 13.

36 Luigi Accattoli, Nuovi martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2000, p. 156.

37 Giorgio Spini, Italia liberale e protestanti, Torino, Claudiana, 2002, p. 349.

38 Enrico Peyretti, Guido Plavan, in Mao Valpiana, Sergio Albesano e Bruno Segre (a cura di), La non violenza in Italia. Le periferie della memoria. Profili di testimoni di pace, Vignate, M&B Publishing, 2000, p. 135.

39 Giorgio Bouchard, Introduzione, in Andreas Kohn (a cura di), Carlo Lupo. Pastore, poeta uomo di pace, Torino, Claudiana, 2011, pp. 7-8.

40 Dal 1931, Testimoni di Geova.

41 Gli Studenti della Bibbia, in “La Stampa”, 19 luglio 1916, p. 4 (anno L, n. 199).

42 R.D. n. 993 del 26 giugno 1915; Martellini, Fiori nei cannoni, cit., p. 30.

43 Rapporto Reali Carabinieri, 3 luglio 1916.

44 Sentenza Tribunale Militare di Alessandria, 18 agosto 1916.

45 «Sentenza TMTA», datata 18 agosto 1916. Una riproduzione fotografica è presente in Minoranze, coscienza e dovere della memoria, prefazione di Mauro Mellini, Napoli, Jovene Editore, 2001, pp. 191-197.

46 Paschetto, L’odissea di un obbiettore durante la I guerra mondiale, ne “L’Incontro”, anno IV, n. 7-8, 1952, p. 3.

47 Danilo Baratti, Maledetta! Maledetti! Per una contromemoria della Prima guerra mondiale, in “Voce libertaria. Periodico anarchico”, Caslano (Svizzera), n° 30, febbraio-aprile 2015, p. 12.

 

 

* da: Andrea Filippini, I primi passi dell’obiezione di coscienza alla guerra nell’Italia liberale, in “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”, 2 (2018) [10-07-2018]. https://rivista.clionet.it/vol2/societa-e-cultura/polis/filippini-i-primi-passi-dell-obiezione-di-coscienza-alla-guerra-nell-italia-liberale

 

L’articolo integrale qui:

https://rivista.clionet.it/vol2/societa-e-cultura/polis/filippini-i-primi-passi-dell-obiezione-di-coscienza-alla-guerra-nell-italia-liberale

 

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