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Pubblicato da il 30 Nov 2015 in Storia | 0 Commenti

Perché l’Italia entrò in guerra (E. Ongaro)

Perché l’Italia entrò in guerra (E. Ongaro)

 

Oltre l’irredentismo… le mire imperialistiche

Il No alla prima guerra mondiale venne esprimendosi in molteplici forme nel corso dei cinquantuno mesi in cui la guerra divampò nei Paesi europei; per l’Italia dieci di quei mesi ebbero, almeno apparentemente, il dilemma se intervenire o restare neutrali. La maggioranza della popolazione e del Parlamento era orientata al neutralismo, ma il governo, le autorità militari, gli uomini della monarchia, gli industriali – in sintonia con la borghesia cittadina e con i gruppi nazionalisti – coltivavano l’idea che la guerra avrebbe rappresentato per l’Italia un’ulteriore occasione di affermazione internazionale, di modernizzazione del suo apparato produttivo, di rafforzamento del carattere nazionale.

Da un trentennio la giovane nazione italiana si era seduta al banchetto delle potenze coloniali, mettendo piede nel Corno d’Africa, e con la guerra italo-turca per la conquista delle Libia – durata un anno e conclusa nell’ottobre 1912 anche con il controllo delle isole del Dodecaneso – aveva rafforzato la sua presenza nel bacino del Mediterraneo orientale. L’Italia era così entrata nella lotta di spartizione di aree di dominio propria dell’imperialismo.

La neutralità, decisa dal governo e annunciata il 3 agosto 1914 pochi giorni dopo lo scoppio della guerra, era concepita come fase di decantazione della decisione di non affiancarsi agli Imperi Centrali cui l’Italia era legata dal patto della Triplice Alleanza, ma soprattutto come tempo di attesa per riprendersi dallo sforzo compiuto nella guerra italo-turca e per capire quale dei due fronti aveva maggiori possibilità di vittoria così da schierarsi opportunisticamente al suo fianco al momento propizio.

La neutralità non bastava al governo italiano: il primo ministro Antonio Salandra ai primi di dicembre avrebbe spiegato che l’Italia aveva “vitali interessi” da tutelare, “giuste aspirazioni” da sostenere e soprattutto “una situazione di grande Potenza” da mantenere intatta. Un posizionamento neutralista, accortamente amministrato, avrebbe potuto al massimo far conseguire il recupero delle “terre irredente”, dando compimento al sogno risorgimentale dell’Unità. Ma per soddisfare le mire imperialistiche presenti in settori della società italiana e per integrare ancora di più il capitalismo italiano nel sistema capitalistico internazionale, bisognava partecipare allo scontro di eserciti in atto: si trattava di negoziare le proprie ambizioni, di scegliere il momento opportuno così da risultare incisivi e decisivi sul corso di un conflitto che si era immobilizzato, quasi interrato, dentro trincee estese per centinaia di chilometri.

Ercole Ongaro, No alla Grande guerra 1915-1918, I libri di Emil, 2015, p. 9-10

 

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