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Pubblicato da il 18 Set 2016 in Letture | 0 Commenti

Quando tornano i prati (C. Pastorino)

Quando tornano i prati (C. Pastorino)

 

LE CROCI

Lasciammo la linea e ci ponemmo dietro cerri fantastici roccioni, in una posizione di rincalzo.

Il comando di reggimento era rimasto al Trappola. Avveniva che durante il giorno io dovessi spesso recarmivi.

Nei primi tempi v’era un sentiero che passava per cresta. Quel sentiero, coperto dal bosco, era sicuro; o, almeno, tale credevamo che fosse. Là a un angolo dove il sentiero piegava, erano alcune croci; e le fosse erano recenti, ma le zolle, rimessevi su con cura, verzicavano e pareva che sempre vi fosse stato così. Io mi vi sedevo volentieri da presso, e non per una vana sentimentalità. E forse non pensavo ai morti. Non pensavo a nulla. Sedevo volentieri in quel luogo, perché l’aria vi era più mossa e perché l’ombra vi era più nera.

Ma un giorno il terreno fu sconvolto dalle artiglierie. E uno dei morti fu buttato in aria. Quel morto mi guardava con le occhiaie vuote, paurosamente. Non era dei nostri; la tinta dei suoi panni, non ancora distrutti, indicava chiaramente che egli era stato un nemico.

Mi commossi e sentii pietà per il povero morto. E andai a cercare alcuni uomini che venissero con me e rifacessero una fossa. Io li aiutavo. Poi andammo più in là e tagliammo da un pratello le zolle più verdi e accuratamente ne coprimmo la fossa; e vi ripiantammo la croce.

Da allora, se dovevo ripassare per il sentiero – era diventato pericolosissimo il passaggio – io nella fretta non potevo non dare un’occhiata alla croce e mi pareva che lì ci fosse uno molto presso a me, molto caro, che mi appartenesse; e vi pensavo a lungo, con bontà.

Carlo Pastorino, La prova del fuoco, Egon, 2010 (or. 1926), p. 49

 

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