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Pubblicato da il 23 Mar 2015 in Letture | 0 Commenti

Redipuglia: “la guerra sacralizzata, la mobilitazione permanente” (P. Rumiz)

Redipuglia: “la guerra sacralizzata, la mobilitazione permanente” (P. Rumiz)

 

Salgo verso le croci, e ad ogni gradone la pianura si dilata.

Le luci di Aquileia, l’aeroporto, il Monaco-Trieste che scende lentissimo verso la torre di controllo, le retrovie italiane perfettamente leggibili, i fari giallini alla base della spianata che allungano sugli spalti l’ombra di un uomo solo che cammina, come tra i vuoti colonnati di un De Chirico. E ancora la cima, le croci, qualche ulivo, l’odore violento del Carso, la cripta di marmo nero. La luce artificiale fredda che bagna le lettere cubitali incise su pietra. I MORTI, LA GLORIA, GLI INVITTI, AL COSPETTO DI QUEL CARSO CHE VIDE. La guerra sacralizzata, la mobilitazione permanente. In cima, la lapide dell’inaugurazione con Mussolini, 13 settembre 1938.

Ora urlo: “Dove siete?”. Mi risponde solo un tuono cupo, lungo, come il rotolare di una frana. Capisco di non essere in un cimitero, ma nella negazione della tomba e della pietà. Sto cercando inutilmente la chiave di una base siderale criptata, cui è stato tolto ogni contatto con la madre terra.

Solo pietra avrai attorno, soldato, non porterai con te nessuna data e nessun nome di luogo. Ti bastino il grado e il battaglione. Anche l’intimità del dolore ti sarà negata. Così sta scritto. Su queste gradinate si piange non solo per i caduti ma anche per lo sgomento di una morte anonima, condannata a perpetuarsi in eterno.

L’ho visto da bambino, al sommo dello scalone, il magazzino delle ossa senza nome. Per giorni, poi, ho sognato teschi, femori e tibie. Oggi so che quei resti son stati traslocati non una ma tre, quattro volte: dalla trincea ai piccoli camposanti dietro le linee, poi ai cimiteri di guerra, poi ai grandi ossari, capolinea di resti già inventariati, sterilizzati e ripuliti come ciottoli di fiume. Redipuglia stessa è stata fatta e rifatta, in un traffico di corpi durato vent’anni per celebrare un impero. Sredipolje, in veneto Redipuia, è diventata Redipuglia, infine RE DI PUGLIA, stampigliato sugli infradito cinesi.

Non è questa l’Italia per cui combatterono, scrivo su un pezzo di carta alla luce della mia torcia. È così evidente, non ne possono più, i Centomila, di stare schierati sull’attenti. Vogliono dormire. Maledicono i custodi dei sacelli, i ruffiani e imboscati che vengono qui a tenere discorsi, gli stessi arroganti, ruffiani e imboscati che hanno consentito Caporetto e oggi affondano l’Italia. Vorrebbero tornare alla pace della terra, in piccoli cimiteri, simili a quelli dei Vinti, esonerati dall’obbligo della retorica.

Paolo Rumiz, Come cavalli che dormono in piedi, Feltrinelli, 2014, p. 17-18

 

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