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Pubblicato da il 24 Set 2016 in Letture | 0 Commenti

“Signore, vi adoro e vi ringrazio di avermi creato”: l’arditismo come amore alla vita? (C. Pastorino)

 

PAURA

Uno, a casa, nello svolgimento delle sue quotidiane attività, non può affatto prevedere se in guerra sarà ardito o no. Questa dell’arditismo è qualità che il combattente riconosce in sé all’improvviso; ed è per lui stesso una scoperta. Egli ne gioisce; anche perché sente che essa può, come tutte le virtù, essere alimentata ancora e condotta alle sue manifestazioni estreme. Molti che partirono per la guerra pieni di calore, all’atto pratico non dettero buona prova; molti altri, al contrario, che vi entrarono con una certa timidezza perché sapevano di avere innanzi a sé il mistero e l’ignoto, ascesero poi alle più luminose altezze: a quelle altezze alle quali normalmente non ascendono che gli eroi e i santi.

Né bisogna credere che l’arditismo sia, come spesso si legge in motivazioni per ricompense al valore, disprezzo della vita. Perché disprezzar la vita? Non è da uomo, ciò: l’uomo è tanto più nobile quanto più tiene in pregio la vita. Solo i suicidi la disprezzano. Essa è dono di Dio: il più grande dono: quello che al mattino, al primo destarci, e alla sera prima di prendere sonno, e in ogni ora del giorno, ci fa ripetere: “Signore, vi adoro e vi ringrazio di avermi creato”. Avermi creato! Cioè, di avermi dato la vita, la cara vita! Dunque non disprezzo, ma amore di essa, riconoscenza a Dio, ringraziamento perenne perché possiamo continuare a godere la soave luce, a bere la fresca aria, a fissare gli altri e il sole, a sentire dentro il nostro petto questo battere regolare e caldo; e il sangue intanto fluisce, morbido, tepido, dolce, prodigio sopra tutti i prodigi, miracolo sopra tutti i miracoli, potenza sopra tutte le potenze. La vita! Per esse e in essa siamo tutto: anche son sue le ali che ci rendono degni di aspirare al Cielo e di perderci in Dio.

L’arditismo non è dunque disprezzo, ma amore alla vita: amore spinto al sommo grado. La viltà, sì, è disamore e, direi, corsa alla propria soppressione.

L’arditismo può essere anche un poco calcolo: perché chi va con baldanza e coscienza di sé a un assalto, generalmente si salva: egli dà la vittoria alle proprie armi e salva se stesso. Parrebbe assurdo, ma è così. Negli assalti gli arditi non cadono quasi mai; perché vanno per vincere, non per morire. Vanno per vivere e per dare la vita, per innalzare sé e le proprie armi, per spiegare al vento poi la bandiera e perché la patria splenda e sia gloriosa. Nell’ardito c’è tanta forza di vita che il suo sangue s’è fatto come un torrente in piena: chi potrà trattenerlo? E non s’è mai visto che il torrente per volere invadere le campagne pensi ad annientare se stesso. Le deboli acque stagnati e le gore fangose sì, vanno verso la propria soppressione: non il torrente.

L’incertezza, il timore di morire, il cercare di nascondersi, il vagar con lo sguardo in caccia del riparo, son sempre letali. La paura ha in se stessa la punizione. Il pauroso resiste sempre poco: negli assalti quasi sempre cade.

Queste cose avrei voluto esprimere ai miei trenta arditi; ma la guerra non è fatta per le parole, bensì per le azioni: perciò fu più bello il tacere.

Carlo Pastorino, La prova del fuoco, Egon, 2010 (or. 1926), p. 81-82

 

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