Menu Pagine
TwitterRssFacebook
Menu Categorie

Pubblicato da il 4 Apr 2016 in Storia | 0 Commenti

Sul Piave: legittimo orgoglio? (A. Cazzullo)

 

Nell’ora più nera, il Paese seppe reagire. Finiva un’avventura nazionalista ed espansionista e cominciava una guerra di resistenza nazionale. Non c’era più da andare all’assalto di montagne mai viste, da conquistare villaggi sconosciuti; c’era da difendere la propria terra, la propria indipendenza. Non era più il momento dei proclami letterari di D’Annunzio e dei deliri linguistici di Marinetti; era il tempo dei fanti contadini.

Anche il Piave, come Caporetto, è entrato nel linguaggio corrente, come un suono che sa di riscossa ma anche di retorica. Per i nostri nonni invece fu carne e sangue. Era la prima sfida collettiva degli italiani: e fu vinta, non tanto con l’avanzata tardiva di Vittorio Veneto quanto con la difesa caparbia sul fiume e sui monti. Nei giorni drammatici seguiti a Caporetto, Benedetto Croce, un uomo che giustamente rifuggiva dall’enfasi, disse: “Si sta decidendo il destino d’Italia per i secoli avvenire”. In realtà, l’Italia era attesa da altri disastri, da altre prove: il fascismo, che con la retorica della “trincerocrazia” avrebbe usurpato una vittoria che apparteneva alla nazione, non a una fazione, tanto meno a un regime; il secondo conflitto mondiale; la guerra civile. Ma la pagina scritta sul Piave tra il novembre 1917 e il novembre 1918 fu ricordata dai nostri nonni per tutta la vita come il capolavoro di una generazione. Non lo ostentavano, non amavano parlarne, non sentivano il bisogno di tirar fuori dai cassetti divise e medaglie; però quell’orgoglio nessuno avrebbe più potuto portarglielo via.

Aldo Cazzullo, La guerra dei nostri nonni. 1915-1918: storie di uomini, donne, famiglie, Mondadori, 2015, p. 58

 

Pubblica un Risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *