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Pubblicato da il 9 Gen 2015 in Letture | 0 Commenti

Un siciliano a Monte Fior – Altipiano di Asiago (V. Rabito)

Un siciliano a Monte Fior – Altipiano di Asiago (V. Rabito)

 

E Ciampietro diceva: – Vede quello monte dove spareno sempre? Si chiama Monte Fiore -. Ed era umposto avanzato per li austriace. E siccome era molto alto, per questo che non potiammo avanzare, l’italiane, a causa di questo Monte Fiore. E neanche potiemmo antare al paese di Aseaco, che c’era tanto lavoro da fare, che ad Aseaco c’era un crante diposeto di filo spenato e non si poteva antare a prentere per fare li retecolate, perché li austriace ci sparavino, che era tutto alla vista di questo Monte Fiore.

Ma qualche volta, Rabito, – mi deceva Ciampietro, – se vedrà qualche spavento, che li taliane, tra qualche ciorno, vedrai che viene l’ordene del comando cenerale, e lo prenteranno sicuro.

E così, venne il porta ordene, che ci faceva capire, non direttamente che l’ordine lo portava al comando di battaglione, ma noi lo abiammo saputo lo stesso, che fra 4 o 5 ciorne ci doveva essere l’ofenziva per prendere Monte Fiore, e la nostra bricata doveva fare questo sacrafizio.

Così, da Vecenza hanno fatto venire 3 battaglioni della compagnia di morte, che questi battaglioni di morte erino tutti Ardite, e tutti delinquenti, tutti fatti uscire appositamente dalla galera propria per queste difficile imprese. Ogni battaglione di questi erino 1.000 soldati delinquenti e anche gli ufficiali erino delinquente. E voi dovete sapere che questi, quando davino l’assalto, quello che dovevino fare lo avevino a fare in 3, 4 ore, e in queste 3 o 4 ore la posizione vero che la conquistavano, e ni partevino 3.000 di queste malandrine soldate vive, ma ne potevano retornare 300, perché tutti li ammazzavino, perché certo che uno che va nella casa dell’altro sempre ci avevino la peggio.

Così quella mattina, hanno venuto queste fanatice soldate, senza portare né zaino e coperte né niente, neanche manciare, solo una ciacca che di dietro alle spalle aveva una grande tasca, la riempivano di bombe, il pugnale alla bocca e il moschetto con la baionetta incastata e partevino come tante cane arrabbiate. E poi, prima che partevino, si bevevino mezzo litro di licuore, e macari se umpriagavino. Manciavino bene, la musica avevino, una bandiera italiana portavano, e partievino con tutto il coraggio che avevino.

E quella mattina, verso le ore 5, hanno dato l’assalto alla fortezza di Monte Fiore all’improvviso, butando bombe in quelle trincieie come li diavole, che hanno fatto una carneficina; li artiglierie che sparavano, sia li nostre e chelle suoi, che il Monte Fiore era diventato una vampa. E compuro che c’era la nebbia si vedeva che il monte era rosso che sembrava li fuochi artificiali della festa del patrono. E il rumore che si sentiva di dove ero io e Giampietro, rumore di bombe e di cannonate, e poi li gride e il pianto che se sentiva e li bestemmie. E la terra tutta tremava, e io e Gianpietro tremammo come tremava la terra, perché avevamo troppo paura. E a Gianpietro, che ci aveva stato nelli battaglie, ci stavano scappando le lacrime, perché sapeva che il peggio veniva dopo, che li veri guai erano dopo che gli Ardite prendevino quel monte. Perché voi dovete sapere che gli Ardite, quelle che restavano vive, si n’antavino e toccava a noi andarece in quel monte e starece per defenderlo, a non ni lo fare levare un’altra volta, perché gli austriaci facevano la controffensiva e noi la dovemmo reparare.

E così, alle ore 10, Monte Fiore era un’altra volta italiano. E venne l’ordine di avanzare anche noi, e andare. Così, tutta la brigata Ancona andiamo in quello Monte Fiore pieno di cadaveri, per fare la resistenza, che già li austriaci hanno contrattaccato e sparavano e li nostri comandanti gridavano: «Avante Savoia!» E noi, tutti con bombe a mano e moschetto e baionetta incastata e pugnale camminando camminando, di quanti morti e ferite che c’erino, non avemmo dove mettere li piedi.

Così, avemmo visto migliaia di ferite che gridavano e correvano come pazzi, con il tanto dolore che sentivano, poveretti, e ce n’erano che morivino mentre che correvino. Che della nostra brigata Ancona, ni hanno ammazzato, gli Austriaci, più della metà.

Quanti morti, quanti ferite, quanti pianti, quanti dolori, quante bestemmie. . .

E così, amme, tutta la paura che aveva, mi ha passato che deventaie un carnefice. Impochi ciorne sparava e ammazzava come uno brecante, no io solo, ma erimo tutti li ragazze del 99, che sparavimo e ammazzavimo come brecanti, avemmo revato piangento, perché avemmo il cuore di piccole, ma, con questa carneficina che ci ha stato, deventammo tutti macellaie di carne umana.

Questa fu la prima battaglia che io Rabito Vincenzo ho fatto.

Vincenzo Rabito, Terra matta, Einaudi, 2007

pgm40

(* si ringrazia della segnalazione Giovanni Firrito)

 

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