“Una crisi spirituale enorme è stata suscitata. Occorre che cambiamo noi stessi” (A. Gramsci)
Eravamo gli unici che preparavamo un avvenire diverso, migliore del presente. Tutti i disillusi, ma specialmente tutta l’enorme moltitudine che tre anni di guerra hanno portato alla luce della storia, hanno obbligato a interessarsi della vita collettiva, aspettano da noi la salvezza, l’ordine nuovo. Una crisi spirituale enorme è stata suscitata. Bisogni inauditi sono sorti in chi fino a ieri non aveva sentito altro bisogno che quello di vivere e di nutrirsi. E ciò proprio nel momento storico – come del resto necessariamente doveva avvenire – in cui è avvenuta la maggiore distruzione di beni che la storia registri, di quei beni che soli possono appagare la maggior parte di quei bisogni.
Le pubblicazioni nuove, le nuove riviste, non mi dànno, non riescono a darmi alcuna delle soddisfazioni che io cerco. Ciò, del resto, non è una ragione di sconforto. Le soddisfazioni le devo ricercare in me stesso, nell’intimo della mia coscienza, dove solo possono comporsi tutti i dissidi, tutti i turbamenti suscitati dagli stimoli esterni. Questi libri non sono altro per me che stimoli, che occasioni per pensare, per scavare in me stesso, per ritrovare in me stesso le ragioni profonde del mio essere, della mia partecipazione alla vita del mondo. Queste letture mi convincono ancora una volta che un grande lavoro deve essere ancora fatto da noi socialisti: lavoro di interiorizzazione, lavoro di intensificazione della vita morale.
Si minaccia tutta una campagna serrata per la revisione delle formule, dei programmi finora adottati. Non questo revisionismo è necessario. Gli errori che si sono potuti commettere, il male che non si è potuto evitare non sono dovuti a formule o a programmi. L’errore, il male era in noi, era il nostro dilettantismo, nelle leggerezza della nostra vita, era nel costume politico generale, dei cui pervertimenti anche noi partecipavamo inconsapevolmente. Le formule, i programmi erano esteriori, erano inanimati per troppi; non li vivevamo con intensità, con fervore, non vibravano in ogni atto della nostra vita, in ogni momento del nostro pensiero. Cambiare le formule non significa nulla. Occorre che cambiamo noi stessi, che cambi il metodo della nostra azione. Siamo avvelenati da un’educazione riformistica che ha distrutto il pensiero, che ha impaludato il pensiero, il giudizio contingente, occasionale, il pensiero eterno, che si rinnova continuamente pur mantenendosi immutato. Siamo rivoluzionari nell’azione, mentre siamo riformisti nel pensiero: operiamo bene e ragioniamo male. Progrediamo per intuizioni, più che per ragionamenti; e ciò porta ad una instabilità continua, a una continua insoddisfazione: siamo dei temperamenti più che dei caratteri.
Antonio Gramsci, Occorre cambiare noi stessi (Letture), 24 novembre 1917
(in Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, chiarelettere, 2011, p. 92-93)