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Pubblicato da il 24 Apr 2015 in Letture | 0 Commenti

Una poesia di Bontempelli: ebbrezza-piacere-svuotamento (S. Storti)

Una poesia di Bontempelli: ebbrezza-piacere-svuotamento (S. Storti)

Una poesia di Massimo Bontempelli – contenuta nella raccolta “L’Ubriaco” e dal titolo “Ubriaco 1: Lussuria” – fornitaci da Sara Storti e con un suo commento.

Odore del camminamento

odore

odore

di cadavere usato merda fango

ricordi

ricordi

quando all’entrare

tu mi buttavi le braccia al collo

io sguazzando sul graticcio

mi piegavo sotto l’abbraccio

lottavo di forza con te

prima di amarti?

Entra la nausea per la bocca

scende nel cuore

si pigia si pesta fermenta

mentre vo sui graticci sbattuti

sotto le traiettorie che guaiscono

a capo chino.

Ma la nausea si fa mosto e vino

nel vuoto del cuore.

Lo ubriaca l’odore

odore

odore del camminamento.

Vi aizza la gioia.

Gioia di camminare

camminare

camminare nel poltridume

d’essere presi a sassate

dal rumore delle granate

di perdersi a destra a sinistra

cinquanta volte

e inciampare abbracciati all’odore

cinquanta volte

e rialzarsi col fango in bocca

per arrivare a vedere

la carne tedesca cadere

afflosciati testa in giù

porci insaccati

nel budellame dei cappotti blu.

La lirica ci restituisce un’immagine quasi allucinatoria della guerra. L’ebbrezza dell’alcool si trasforma nell’ebbrezza per l’uccidere, un’esaltazione masochistica anche della sofferenza fisica legata alla guerra (“Gioia del camminare/camminare nel poltridume/d’essere presi a sassate/ dal rumore delle granate”). Questo tipo di immagine sconvolta dall’alcool potrebbe anche rimandare ad una reale situazione storica al fronte, in cui i soldati spesso andavano all’assalto ubriachi. Anche tralasciando questa ipotesi, risulta evidente come in questa lirica l’immagine della guerra si leghi ad un’ebbrezza simile a quella provocata dall’alcool. Il poeta si inebria del proprio dolore, del lezzo, delle granate e prova piacere nell’annegare nel fango della trincea.

All’ebrezza dell’ubriacatura, la quale fornisce il titolo alla raccolta, in questo caso se ne aggiunge un’altra: la lussuria. È l’impulso che si ritrova nel titolo del componimento e assume un ruolo centrale, specialmente all’interno della prima lassa (“tu mi buttavi le braccia al collo/ io sguazzando/sul graticcio/mi piegavo sotto l’abbraccio/ lottavo di forza con te / prima di amarti?”). Con l’ubriacatura ha in comune il carattere estremo e irrazionale e la perdita della propria identità. Non si tratta di amore, di un sentimento nobilitante e interiore, quanto piuttosto di una pulsione fisica esteriorizzata nell’atto di violenza della prima lassa (“lottavo di forza con te/ prima di amarti”). In una sorta di capovolgimento in questo caso non è l’uomo ad attuare l’atto violento, ma la donna. Dietro quest’immagine di donna violenta potrebbe probabilmente nascondersi anche la guerra stessa, che il poeta descrive nelle lasse successive con tonalità a tal punto esaltate da arrivare al parossismo di “abbracciare” l’odore, anzi il lezzo, della guerra. L’amore per la donna-guerra nasce all’insegna della violenza e si sviluppa all’insegna della violenza. È una violenza contro il prossimo, contro la “carne tedesca” ma è anche e soprattutto una violenza masochistica contro se stesso. Se il sentimento descritto nella prima lassa di “Lussuria” potrebbe ricordare per violenza il terzultimo verso di “Voce di vedetta morta” di Rebora (“gorgo di baci”, “stringile il cuore a strozzarla”), in realtà siamo di fronte a due prospettive completamente differenti. In Rebora la violenza deriva dalla sofferenza provata in trincea e stringere il cuore della donna “fino a strozzarla” è l’unico modo in cui il poeta può cercare di farle comprendere quell’esperienza che ormai fa parte di lui stesso. La violenza in Bontempelli è invece una violenza imposta dalla donna-guerra e subita in maniera compiaciuta dal poeta. Ciò che deriva da tale aggressività è in questo caso “gioia” (esaltata a vv. 24-25), che sembra quasi una nota stridente in un contesto dominato da un lessico negativo (nausea, merda, fango, granate, sassate etc…).

Come rileva Cortellessa, l’esaltazione della guerra e del paradigma futurista in Bontempelli viene portata a conseguenze così estreme da presentare elementi di implicita contraddizione. Dietro alla superficie si nascondono elementi ambigui.

L’immagine del soldato che la lirica ci restituisce non ha nulla di eroico e allo stesso modo l’estrema spettacolarizzazione della morte che emerge nell’ultima lassa non ha niente di trionfale. Lo stesso “vuoto del cuore” di cui l’autore parla ai vv. 18-19 si presenta come qualcosa di ambiguo. Tale espressione potrebbe essere una metafora attraverso la quale il cuore viene assimilato ad un contenitore vuoto in cui il vino può fermentare, ma potrebbe anche essere un riferimento ad una situazione di svuotamento dell’individuo, un oblio di sé. L’amore estremo per la guerra descritto nella lirica assume perciò dei connotati piuttosto inquietanti e l’immagine che il poeta restituisce dell’esperienza in trincea risulta esaltata ma allo stesso tempo disturbante e ambigua.

Sara Storti

 

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