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Pubblicato da il 7 Apr 2020 in Storia | 0 Commenti

Virus e guerre: la rimozione. “La ‘spagnola’ nel 1918” (A. Berlaffa)

Ancora lontano dal pensiero attuale di salute e medicina, il mondo contadino all’inizio del Novecento era percorso da numerose malattie e micidiali epidemie: morbillo, tifo, vaiolo, colera. Potevano portare alla morte anche l’influenza o il freddo troppo intenso. Il risvolto sociale delle malattie stava nelle condizioni di generale miseria di fronte ai bisogni primari: misere abitazioni, vestiario inadeguato, alimentazione scadente, acqua non sempre potabile.

La quotidiana dieta formata da cereali di bassa qualità favoriva il rachitismo e la pellagra.

Non ci fu la lungimiranza di avviare le necessarie misure civili – acquedotto, fognature – per prevenire il diffondersi delle infezioni. (…). Quel mondo di complessiva arretratezza fu messo ancor più in affanno da tutte le implicazioni della Guerra Mondiale.

Erano ormai più di tre anni che l’Italia era in guerra. Più di tre anni che i soldati erano ammassati nelle trincee al fronte. O negli accampamenti di pianura per rimpiazzare i tanti che erano caduti negli insensati assalti sulle montagne. Ma un fronte più drammatico marcava ogni paese, ramificandosi all’interno di ogni casa. Era la guerra alla miseria, conseguenza dell’accentramento delle energie e risorse, individuali e collettive, nello sforzo bellico. Fu un’esperienza al limite vissuta in ogni famiglia nella drammaticità domestica dello spartire gli stenti. Ma nessun bollettino militare registrò le vicende del fronte isolano. Numerosi erano i segni di sofferenza sul corpo sociale della comunità: malnutrizione, sovraffollamento, scarsa igiene personale e pubblica. Condizioni aggravate nelle famiglie dei profughi, ammassati in troppi in spazi impossibili. Il sommarsi di tante circostanze sfavorevoli aumentò a dismisura l’aggressività dell’influenza. La concomitanza degli eventi bellici, con l’andirivieni dei reparti militari, facilitò il diffondersi del morbo.

Nei casi in rapida evoluzione, la mortalità era causata dalla polmonite indotta da virus, da gravi complicazioni polmonari che causavano aggravamenti e improvvisi decessi. Nei casi lenti aveva sviluppo la polmonite batterica, con presenza di disturbi mentali. Molti decessi ebbero come concausa determinante la malnutrizione. La trasmissione avveniva per tosse o starnuti. A differenza di altre epidemie, particolarmente letali per bambini e vecchi, l’infezione virale del 1918 dimostrò un’elevata mortalità nei giovani adulti, tra i venti e i quarant’anni. In quella pagina della storia la superinfezione batterica e la stoltezza della guerra andarono d’accordo: preferirono aggredire il corpo giovane della società lasciandovi cicatrici profonde.

La malattia fece la sua comparsa a primavera con una breve epidemia di carattere benigno per poi scomparire nel mese di giugno. All’influenza fu dato il nome di “spagnola” perché la sua esistenza fu riportata dapprima soltanto dai giornali spagnoli. La Spagna non era coinvolta nella Guerra Mondiale e la sua stampa non era soggetta alla censura di guerra.

Invece nei paesi belligeranti la presenza della malattia fu nascosta dai mezzi d’informazione, che ne parlavano come di un’epidemia lontana. La “spagnola” iniziò di nuovo a mietere le sue vittime da luglio in poi, raggiungendo l’apice ad ottobre. Difficile era trovare l’informazione sul giornale. Il capo del governo, Vittorio Emanuele Orlando, aveva imposto una severa censura per non demoralizzare il Paese: l’epidemia non esisteva. (…).

 

 

  • Tratto dal fascicolo di Adriano Berlaffa, A PESTE, ….LIBERA NON DOMINE. Le nostre comunità negli imprevisti della storia, (Unità Pastorale Castelnuovo, Ignago, Isola Vicentina, Torreselle; Comune di Isola Vicentina (VI); Comunità dei Servi di Maria Santa Maria del Cengio), s.d. (aprile 2020)

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